Cultura

Banche & trasparenza Caso Bipop, come scongiurare dei bis

Dopo il crollo in Borsa dell’istituto bresciano-reggiano, clienti, azionisti e associazioni di consumatori chiedono maggior chiarezza alle banche

di Francesco Maggio

Trasparenza in banca che fine hai fatto? La domanda, stavolta, nasce dal basso. Dal territorio. E a porla con forza sono i ?beffati? del caso Bipop. Innanzitutto i clienti/azionisti della Cassa di risparmio di Reggio Emilia (che nella banca di Brescia si è fusa due anni fa). Il crollo in Borsa del titolo (passato dai 12 euro del marzo 2000 fin sotto quota 1,80 il 15 ottobre, per assestarsi il 12 novembre, mentre andiamo in stampa, a 1,87), la venuta a galla di irregolarità di gestione, la scoperta di clienti eccellenti, il progressivo disimpegno della banca dal sostegno alle attività produttive locali, questi e molti altri ?buchi neri?, hanno riportato alla ribalta una questione che, forse con un eccesso di ottimismo dettato dalla comparsa (seppur timida) della concorrenza nel nostro sistema creditizio (da cui dovrebbe scaturire, almeno in teoria, una maggior chiarezza delle informative societarie), in tanti ritenevano superata: la questione trasparenza. Così, in rapida successione, nell?ultimo mese abbiamo assistito a società di revisione (la Kpmg) che si sono rifiutate di dare l?avallo di conformità ai conti semestrali; ad azionisti di riferimento (la Fondazione Manodori) che senza mezzi termini hanno dichiarato di voler cambiare mission alla banca e rilanciare l?attività tradizionale; a sostituzioni di amministratori; a ipotesi di ispezione di Bankitalia; alla ricerca di nuovi soci. Insomma, a cose che si pensava appartenessero al passato. Con buona pace di Joseph Stiglitz, verrebbe da aggiungere, che avrà pur vinto il Nobel per l?economia per i suoi studi sull?asimmetria informativa nei mercati finanziari e le denunce riguardanti l??ipocrisia? che qui vige, ma le cui prediche, evidentemente, continuano a rimanere un po? ovunque inascolate. Che lezione trarre allora? Che il mondo finanziario è condannato all?opacità? No. Sebbene le ragioni per rispondere affermativamente siano, come abbiamo visto, molteplici e convincenti. Qualcosa comincia a muoversi. Cresce, per esempio, il numero di banche che redigono un bilancio sociale (pur con tutti i limiti del caso di cui parla Muzi Falconi a pagina 2). Il territorio è tornato a essere protagonista. Se il caso Bipop è esploso lo si deve in buona parte alla meritoria attività svolta da un?associazione di consumatori, l?Adusbef. Tra i provvedimenti presi da Bipop per correre ai ripari è significativa l?adozione del ?codice Preda? (ossia di rigorose regole di corporate governance così denominate perché redatte da un comitato di esperti presieduto dall?ex presidente della Borsa, Stefano Preda). Certo, si tratta solo di timidi passi. Ma, per dirla con Giovanni Siciliano, autore di Cento anni di Borsa in Italia: «Abbiamo avviato un?opera trascurata da ben tre generazioni». (Francesco Maggio) no global & denaro L?etica in bancaFatti non slogan Uno degli slogan più scanditi dai no global in marcia a Roma contro la guerra è stato: «No alle banche armate». In questi ultimi anni è stato proprio l?insorgere di questo tipo di domanda e di coscienza a spingere qualche banca, come Unicredito, a scegliere di vietarsi qualsiasi transizione diretta con imprese implicate nella costruzione di armamenti o nel loro traffico, ed è stata questa spinta a far nascere un?ormai ampia offerta di prodotti finanziari etici. Quando però questo tipo di spinta si tramutasse in un impraticabile (persino per chi urla gli slogan) fondamentalismo, si rischierebbe di compromettere quanto sin qui conquistato e le prospettive di un?ulteriore crescita del comparto etico finanziario. Chi chiedesse il divieto per le banche d?intrattenere qualsiasi rapporto con imprese o Stati implicati nella produzione militare, rischierebbe di vietarsi qualsiasi rapporto con il denaro. Persino Banca etica sarebbe da ripudiare giacché ben 70 miliardi, sui 200 raccolti, sono oggi investiti in titoli di Stato italiani. Cioè, in titoli di uno Stato che ha scelto l?opzione militare. Insomma, il mondo si cambia per proposizione positive e per contaminazione, non con gli slogan.


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