Mondo

Un anno dopo Aylan

Il 2 settembre 2015 la foto di Aylan Kurdi, il bambino annegato ritrovato su una spiaggia turca, faceva il giro del pianeta provocando commozione e sdegno. «Un anno dopo i leader del mondo continuano a non dare risposte alla crisi globale dei rifugiati», sottolinea Amnesty International

di Lorenzo Maria Alvaro

Era il 2 settembre del 2015 ed è trascorso – inutilmente – un anno dallo scatto di quella foto che per un breve momento lasciò senza parole il mondo: il corpo riverso senza vita del piccolo Aylan Kurdi, il profugo siriano di soli 3 anni, sul bagnasciuga della spiaggia turca di Bodrum, scosso solo dalle onde che si frangevano sulla sua salma. Nella traversata morirono annegati anche il fratellino di 5 anni e la mamma di Aylan. Il suo corpo raccolto con delicatezza e cura da un agente di frontiera turco visibilmente commosso, a un passo delle lacrime, fece aprire gli occhi sul dramma dei profughi siriani.


Un anno dopo, i leader del mondo, fatta eccezione per Papa Francesco, l'unico che continua a mettere al centro il tema dei profughi, continuano a non dare risposte alla crisi globale dei rifugiati.

Oxfam ha calcolato che in questi 12 mesi il numero dei migranti che hanno perso la vita nel tentativo di raggiungere un altro paese sia aumentato di oltre un quinto. In tutto il mondo sono morte 5.700 persone da allora, fuggendo dai propri paesi: un incremento del 22,2% rispetto all’anno precedente, che aveva registrato 4.664 decessi.

Questo significa che, dall’inizio del 2016, lungo le rotte migratorie in tutto il mondo muore 1 persona ogni 80 minuti.

In questo tragico quadro, il Mediterraneo si conferma la rotta più letale con 4.181 persone morte dal ritrovamento del corpo di Alan, il 12,6% in più rispetto all’anno prima: a dimostrazione di quanto sia fallimentare l’approccio dell’Unione Europea varato con l’Agenda sulle Migrazioni del maggio 2015. Il 2016, poi, è stato un anno particolarmente funesto: i numeri dicono che il numero di persone che hanno perso la vita nel Mediterraneo Centrale, dal Nord Africa all’Italia, nei primi otto mesi dell’anno, è quasi uguale a quello dell’intero 2015.

La storia di Alan Kurdi sembrava aver generato un cambio di passo: ‘Mai più!’ gridava il mondo dalle prime pagine dei giornali, e #WelcomeRefugees diventava hashtag di tendenza, raggiungendo 2,35 milioni di citazioni nei 12 mesi successivi. A dirlo è uno studio del Visual Social Media Lab dell’Università di Sheffield (Gran Bretagna), condiviso con Oxfam, secondo cui su Twitter si è avuto un aumento di interesse sul tema dei rifugiati, con un numero di tweet quadruplicato rispetto all’anno precedente.

A luglio, i negoziati preparatori del vertice delle Nazioni Unite sui rifugiati del 19 settembre hanno rinviato al 2018 l’esame della proposta del segretario generale Ban Ki-moon di un “Global compact sulla condivisione delle responsabilità sui rifugiati”.

«A settembre rischiamo di assistere a un altro conclave di leader mondiali che terminerà con dichiarazioni ipocrite mentre altri bambini resteranno a soffrire», è l'allarme lanciato da Salil Shetty, segretario generale di Amnesty International.

Da allora l'Ue ha stretto un fragile accordo con la Turchia che in cambio di oltre 6 miliardi di euro e la promessa di liberalizzare entro ottobre i visti per i cittadini turchi diretti nell'Unione, ha accettato – finora – di farsi carico dei quasi 3 milioni di profughi siriani nei suoi confini, bloccando la rotta di fuga balcanica verso l'agognata Europa. Accordo a rischio se, come hanno minacciato le autorita' turche, l'Ue oltre ai soldi non rispetterà l'accordo sui visti.

E intanto dopo la foto di Aylan un'altra immagine di un bambino, estratto vivo miracolosamente dalle macerie di Aleppo il 17 agosto, il piccolo Omaran hanno ricordato al mondo che da oltre 5 anni in Siria si combatte una guerra sanguinosa dove tanti attori, molti in nome e per conto di sponsor più o meno celati, si combattono senza fermarsi di fronte a nulla in nome solo del potere, con l'obiettivo di spartirsi ciò che resta di una Siria balcanizzata, sempre più simile alla ex Jugoslavia.

«Se non si assumeranno maggiori responsabilità di fronte alla crisi che si sviluppa davanti ai loro occhi e se non accoglieranno un maggior numero di persone in fuga dalla guerra e dalla persecuzione, i paesi più ricchi condanneranno altre migliaia di bambini a rischiare la vita in viaggi pericolosissimi o a rimanere intrappolati in campi per rifugiati senza alcuna speranza per il futuro», ha aggiunto Shetty.

«L’incredibile moto di compassione mostrato l’anno scorso per Aylan Kurdi dovrebbe estendersi agli innumerevoli bambini rifugiati che sono alla disperata ricerca di aiuto. I governi stanno gestendo la crisi dei rifugiati con egoismo, come se le persone che rappresentano non fossero in grado di provare solidarietà per chi si trova oltre la frontiera. È giunto il momento di affrontare la crisi dei rifugiati in prima persona e di mostrare ai nostri leader che noi vogliamo accogliere i rifugiati», ha concluso Shetty.

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