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Parla Bertolaso. «La prevenzione passa dalle Regioni. Ecco perché non c’è»

Il commissario straordinario dell'emergenza del terremoto di L'Aquila nel 2009 non ha dubbi: «con le Regioni e la burocrazia fare prevenzione non è possibile. Inutile parlare oggi di ricostruzione, prima ci si occupi di togliere già oggi tutti dalle tende e di sgomberare le macerie. Per quello che riguarda le raccolte fondi servirebbe un albo degli enti autorizzati»

di Lorenzo Maria Alvaro

Capo del dipartimento della Protezione Civile una prima volta tra il 1996 e il 1997 e poi dal 2001 al 2010 ha vissuto in prima persona sia il terremoto di Colfiorito che quello de L’Aquila, di cui fu anche commissario straordinario. È Guido Bertolaso, forse il massimo esperto di gestione della prima emergenza in Italia. Oggi, in qualità di medico, lavora in Sierra Leone per Cuamm, dove ha realizzato un “ebola holding center”, una struttura di isolamento in cui vengono portati i casi sospetti in attesa degli esami di laboratorio.



In un'intervista del 21 agosto 2009 con Vita lei spiegava, circa il tema della prevenzione, «Ricordate quando io mi sgolavo per i piani comunali d'emergenza, quante volte l'ho detto? Però questa esperienza, questa lezione durissima la sfrutteremo anche per questo, per rilanciare la priorità della prevenzione». Oggi però sembra di essere tornati al 2009, come mai?
Sì, oggi si ripropone di nuovo questo tema. E domani, fra cinque anni, tornerà. E fra dieci anni ancora. Andremo avanti secoli con questa tiritera. Quando io le dissi queste cose cercai di essere coerente. Stanziammo un miliardo di euro per cominciare questa grande, gigantesca opera di prevenzione nel Paese. Partendo da quelle che erano le situazioni più critiche e usando le strade burocratiche di allora. Commettemmo però un errore gigantesco. Un errore determinante anche se in buona fede: demmo quei soldi alle Regioni, come prevedeva la Costituzione. Le Regioni poi avrebbero dovuti darli a province e comuni. Il 50% di quei soldi sta ancora nelle casse dello Stato. Nel reatino hanno usato quei soldi per mettere a posto 18 case. Non so se mi spiego: 18 case! Perché? Non certo per inerzia dei cittadini. Ma per la burocrazia di questo paese che blocca tutto.

Che ne pensa del piano di prevenzione Casa Italia annunciato dal premier?
Prima vediamolo. Con gli annunci non si va da nessuna parte. Voglio leggere la proposta per esprimermi. Le posso però già dire che se questo progetto immagina di passare attraverso le Regioni e le province, laddove ancora esistono, non cambierà nulla.

Sempre nel 2009 lei parlava della protezione civile come di “materia concorrente”. Spiegava che «vuol dire che con la riforma del 2001 del Titolo V della Costituzione ogni Regione e ogni Provincia autonoma si organizza la sua protezione civile come meglio crede perché non è più funzione dello Stato: la funzione che resta allo Stato è la gestione dell'emergenza. Ma "il prima" sono affari loro. È ancora così?
Certo, è ancora così. La responsabilità dei piani di emergenza, anche quelli di Amatrice e Accumuli, sono delle Prefetture e delle Regioni. Ecco perché mi arrabbio quando si addossa alla Protezione civile nazionale la responsabilità del mancato controllo su certi edifici.

Che consigli darebbe per questa emergenza a Renzi se venisse interpellato?
I numero oggi ci dicono che non ci sono più di 3mila sfollati. Cifre estremamente limitati e facili di gestire. A L’Aquila avevamo 65mila sfollati. Penso quindi che dovrebbero toglierli immediatamente dalle tende. Già domattina. Ci sono strutture alberghiere in tutta la zona, dove potrebbero essere tranquillamente ospitati. Al di là dei tre comuni rasi al suolo la maggioranza dei comuni limitrofi e ancora agibili ed è costituita da seconde seconde case. Non dovrebbe essere difficile individuarne abbastanza, agibili e sicure, in cui collocare parte degli sfollati. Sgomberate le tendopoli si passa alla creazione di soluzioni temporanee più solide. Le case in legno e i prefabbricati si realizzano in non più di un mese. È quello che facemmo in Puglia per la tragedia di San Giuliano. Questo terremoto secondo me ricorda molto da vicino quella situazione.

E invece quali pensa possano essere i tempi della ricostruzione?
Ragioniamo su fatti concreti. Ci sono comuni, come Amatrice, che sono letteralmente rasi al suolo. La prima cosa, la più importante, è la rimozione delle macerie. Il che va fatto secondo norme ambientali stringenti. Senza contare gli edifici vincolati dalle belle arti. Questo dello smaltimento è il problema più grosso e che richiede più tempo. Dopo aver risolto questo vanno fatte analisi vere e strutturali su tutto quello che è rimasto in piedi. Altro lavoro lungo e certosino. Solo dopo si può ragionare con le comunità locali, avendo chiara la situazione anche geologica, su come procedere nella progettazione della ricostruzione. A quel punto poi dovrà essere fatta una previsione di spesa e capito dove reperire i fondi. Quindi parlare oggi di ricostruzione è fantascienza. Secondo me occorreranno almeno 10 anni, un lasso di tempo idoneo e accettabile. In Umbria ce ne hanno messi tra i 15 e i 20.

In molti, tra cui Stefani Zamagni, hanno sottolineato come anche questa volta ci siano un gran numero di raccolte fondi ma manca, di nuovo, un organo di controllo. Ha qualche idea al riguardo?
Ritengo che quella che è la solidarietà spontanea della gente, dei media o delle aziende sia difficilmente controllabile e gestibile. Forse bisognerebbe immaginare un albo dove registrate realtà che intendono agire come raccoglitori di fondi per poterle controllare. Mi sembra che proprio Vita lanciò questa proposta già 10 anni fa (qui la proposta). Non andrei a costruire una nuova agenzia. Mi sembrerebbe uno spreco di risorse.

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