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Gennaro Carotenuto: Usciamo subito dalla solita retorica post sisma

Intervista al docente di Storia contemporanea e punto di riferimento per il giornalismo partecipativo, che ha vissuto le scosse in prima persona e ora, passata la paura, indica la via per uscire dalla solita retorica: “Qualcosa di concreto si può fare e in parte si sta già facendo. Bisogna pensare all’equilibrio tra sicurezza e tenore di vita: mi riferisco alle politiche di risparmio energetico, per esempio. E non tiriamo in ballo capri espiatori fuorvianti"

di Daniele Biella

Gennaro Carotenuto vive da sempre in mezzo alla gente. In Europa o Latinoamerica (ha vissuto periodi in Cile, Argentina e Messico) allo stesso modo, e il suo lavoro di docente universitario in Storia contemporanea e Storia del giornalismo ritorna sempre lì, agli umori delle persone. Gestore di un blog da 1,2 milioni di visite l'anno, la sua base di vita attuale è Macerata, dove si trovava la notte scorsa alle 3.36, quando nella sua casa del centro storico ha sentito “le scosse più tremende della mia vita, almeno 50 volte superiori a quelle che ho provato in altri terremoti in America Latina”. Quando lo raggiungiamo, ancora scosso, è a Viareggio, dall’altra sponda dell’Italia, perché “sono scappato, ho sentito l’imminenza della morte e non ho pensato ad altro che andarmene”. Ma, con la mente, sta cercando di rimanere in medias res, “perché da decenni ogni terremoto, in Italia, è uguale al precedente in termini di un surplus di ragionamenti su prevenzione e responsabilità. Bisogna uscire da questo circolo vizioso, e riconoscere chi dall’alto gestisce il dissenso cercando sempre un capro espiatorio”.

Andiamo con ordine: Macerata è a 60 chilometri dall’epicentro, sono stati comunque momenti terribili anche lì?
Nei dieci secondi che si è mosso il pavimento ho pensato di essere totalmente in balia degli eventi, senza appigli. Ero convinto che sarebbe crollato tutto, e che sarei potuto morire così, senza malattie gravi o eccessi personali come una guida spericolata, per intenderci. Ma sia chiaro, la mia situazione è stata la stessa di chiunque si è trovato in quelle condizioni, in questo terremoto come negli altri. Per quanto riguarda la città, nessun allarme su persone in difficoltà ma mi arrivano ora chiamate in cui si parla di crepe in edifici in pieno centro storico: di questo, ovviamente, si parlerà più in là, quando l’emergenza umanitaria sarà cessata, nel bene e nel male per il numero di vittime che si sta rivelando peggiore di quello dell’Aquila.

In che senso ogni terremoto è uguale al precedente a livello comunicativo?
Intendo per quanto riguarda la ritualità stantia di quello che accade. Siamo ancora a chiederci dove sono finiti soldi del terremoto del Belice, e a fare il confronto con la ricostruzione dopo quello in Friuli. Pensiamo al presente, cerchiamo spiegazioni migliori. Faccio un esempio, il campanile di Accumoli, ristrutturato con i soldi del sisma dell’Aquila, che crolla – evidentemente, quindi, non antisismico – sulle case e fa dei morti. Sentire una cosa del genere ti fa imbestialire e scagliare contro politici e architetti coinvolti, è chiaro, ma allo stesso tempo bisogna andare a scardinare una mentalità ferma al fatto che non si possa fare niente in merito. Ragionare sulla prevenzione superando retoriche benpensanti è necessario ora e ovunque, perché se non arriveremo mai al mondo ideale in cui anche di fronte a un big one al massimo cada qualche calcinaccio, tanto si può fare nella strada di una maggiore sicurezza (lo dimostra quanto accaduto a Norcia, dove nonostante sia a soli 20 chilometri dall’epicentro, i pochi danni strutturali e l’assenza di morti o feriti è dovuta in parte ai lavori antisismici degli ultimi decenni, ndr). Detto questo, però, attenzione a non millantare falsi esempi virtuosi.

Quali sono gli esempi millantati?
In primo luogo, che all’estero è sempre meglio che in Italia. Non è assolutamente vero, ogni paese che vive nelle zone sismiche ha i suoi problemi, oggi come in passato. E soprattutto, propri a proposito del passato, basta con la retorica che duemila anni fa si costruiva bene e tutto questo non sarebbe accaduto: ci ricordiamo come vivevano le classi meno abbienti nell’epoca romana, per esempio? In case di paglia o comunque di materiale non certo pericolo come quello contenuto nelle mura di oggi. Se i monumenti rimanevano in piedi, i danni alle case non erano esagerati proprio perché baracche e stalle potevano venire giù, incendiarsi ma molte volte senza un danno imminente alle persone.


Tariamo la responsabilità della politica: come si sta e come si deve comportare?
Il carrozzone delle dichiarazioni – del tipo “lo Stato farà la sua parte” – parte inevitabilmente e abbiamo visto in passato come i miracoli non avvengano – si pensi alla gestione berlusconiana del terremoto a L’Aquila – ma qualcosa di concreto si può fare e in parte si sta già facendo. Nel ragionare e fare comunicazione attorno al dramma di un terremoto, bisogna pensare all’equilibrio tra sicurezza e tenore di vita: mi riferisco all'aprofondire di più temi come le politiche di risparmio energetico, per esempio, che sono spesso collegate alle norme antisismiche e oggi portano a ristrutturare le case – anche a me è successo di recente – e quindi a spendere soldi personali, in cambio di sgravi fiscali che coniughino il sapere di vivere in un luogo più moderno e sicuro alle esigenze del portafoglio. Se una persona di reddito medio deve spendere decine di migliaia di euro per rendere antisismica la casa da lasciare poi in eredità al figlio, per esempio, semplicemente non può farlo e si appella alla Provvidenza, se invece può spendere meno, lo fa. Il ruolo della politica è quindi spingere le persone a fare le scelte giuste. E a non perdere tempo nel trovare capri espiatori, giustificare le proprie inadeguatezze, come invece sta avvenendo anche in queste ore spinta anche da mass media ostili, poi ripresi e amplificati dalla gente comune anche sui social network.

Chi è il capro espiatorio, oggi?
Perfino per il terremoto, e il paradosso è scioccante, il capro espiatorio è l'immigrato, o meglio il richiedente asilo. Il fatto che l’Italia sia in crisi da decenni, una volta finito il boom economico e dopo i disastri della Prima Repubblica e le promesse mancate degli anni di Berlusconi, è dimenticato. Fino alla fine del secolo scorso il colpevole dei problemi del Paese era il meridionale, sia che andava al Nord “a togliere lavoro” sia che rimaneva a Sud “senza fare niente”: non lo diceva la gente comune, ma partiti politici come la Lega Nord, quindi era un movimento di scaricabarile dall’alto verso il basso, così come avviene oggi dove il colpevole è chi viene da fuori. Vedere in queste ore commenti del tipo “togliete gli immigrati dagli hotel per darli ai terremotati” chiude il cerchio in questo senso: essi non sono solo sui social ma innanzitutto sul mainstream, che quindi orienta cosi quella che chiamo gestione del dissenso. Commenti che quindi non partono dal basso come vorrebbe far credere chi guida il sistema – in cui sono compresi anche vari mezzi di informazione – e di fatto sviano l’opinione pubblica.

Come uscire da questo circolo vizioso?
Riconoscere questi atti di gestione del dissenso, in ogni modo possibile. Io stesso Io stesso invito gli studenti a controllare e valutare le fonti, in modo da sapere con chi hanno a che fare e sapendo che l'autorevolezza non sta necessariamente nelle grandi testate. Inoltre li invito a diffidare della semplicità in favore della complessità, evitando di riportare finte notizie prelevate da siti che sembrano avere nomi credibili ma in realtà diffondono bufale. E reputo i 140 caratteri di twitter in qualche modo reazionari, se non usati bene, perché in 140 caratteri la complessità è negata in favore della semplicazione, di slogan, sberleffo e hate speech. La soluzione, difficile comunque da raggiungere nel breve termine, sta nel battere il chiodo su quando non sia semplificabile nessun fenomeno, a cominciare dall’immigrazione. In questo ricercare la complessità c’è la comprensione dei fatti, l’abbandono di un analfabetismo di ritorno che oggi sta generando solo danni. Diffidiamo dei messaggi troppo semplici, che sembrano aiutarci a capire le cose ma in realtà ci allontanano dalla verità. Certo è difficile muoversi nel mondo dell’informazione per chi non ha tempo e voglia di approfondire, ma bisogna riuscire a riconoscere quando si viene manipolati.

Foto in cover di Gabriele Bellini/Getty Images

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