Famiglia

La lunga onda rosa conquista il sociale

Strutture flessibili, cultura aziendale rispettosa delle esigenze femminili, modelli di sviluppo attenti alle pari opportunità: così l'impresa sociale è sempre più donna

di Francesco Agresti

Ci sono, sono in tante e conteranno sempre di più, nonostante le resistenze maschili. L’universo femminile ha invaso l’economia sociale e avanza spedito alla conquista di posizioni nel profit. Degli oltre 4 milioni di posti di lavoro creati negli ultimi due anni in Europa, il 70% è andato a una donna; nei paesi Ocse, ogni 10 nuove imprese, 3 sono avviate da neoimprenditrici; in Italia, un posto su due tra quelli a tempo indeterminato è appannaggio di una donna e il rapporto sale a due su tre per i contratti a tempo determinato. La Cna-Confederazione nazionale artigianato ha rilevato che nella capitale 3 imprese su 10 sono guidate da artigiane, e non sono solo parrucchiere ed estetiste: ci sono infatti anche 72 imprese edili, 38 autorimesse, 119 imprese metalmeccaniche e 71 di impiantistica. Nel non profit, tra i dipendenti la presenza femminile è quantitativamente di gran lunga superiore a quella degli uomini. Su 630mila lavoratori retribuiti, circa 380mila sono donne e il 15% ha un contratto a tempo parziale contro il 6,3% degli uomini. Cooperazione in rosa Il trend rosa nell’area più professionalizzata del Terzo settore è confermato dal III Rapporto sulla cooperazione sociale curato dal Consorzio Cgm ed edito dalla Fondazione Agnelli (in libreria ad aprile). «Nel 1999», si legge nel rapporto, «nelle cooperative sociali operavano 121.894 dipendenti (dei quali 82.162 donne), 871 lavoratori distaccati (dei quali 634 donne), 7.558 lavoratori con contratti di collaborazione coordinata e continuativa (di cui 4.658 donne), per un totale di 130.323 occupati (dei quali 87.454 donne, pari al 67,7% del totale)». Accanto a essi si riscontrava la presenza di 19.119 volontari (dei quali 10.090 uomini), 560 religiosi (tra i quali 320 uomini) e 2.995 obiettori di coscienza». L’onda lunga femminile è arrivata anche fra le associazioni di volontariato. Dalle prime anticipazioni della Rilevazione nazionale 2001 sulle organizzazioni di volontariato della Fivol emerge infatti che vi è una leggera crescita nell’acquisizione di posizioni di vertice da parte delle donne: si va dal 31,5% del 1997 al 32,9% del 2001. Solo il 14,4% delle donne occupa incarichi di responsabilità in gruppi e organizzazioni con presenza femminile minoritaria, mentre i responsabili maschili di associazioni con presenza minoritaria del proprio genere costituiscono il 47,1%. Ciò significa che le donne sono elette responsabili di un gruppo di volontariato soprattutto dalle altre donne. «Nelle cooperative sociali l’organizzazione del lavoro tende ad adattarsi alle esigenze delle lavoratrici e non a caso i livelli di ricorso al part time sono maggiori rispetto sia al pubblico che al privato», spiega Carlo Borzaga, docente di Economia all’università di Trento. «Questa flessibilità permette di incrementare i tassi di attività delle donne e in alcuni casi consente di svuotare sacche di povertà. Negli ultimi tempi sto seguendo una cooperativa sociale in cui il 30% dei soci lavoratori normodotati sono donne che senza quest’impiego non riuscirebbero a sbarcare il lunario. Esiste una massa di persone, soprattutto donne, che sono fuori dal mercato del lavoro perché gli orari che verrebbero loro imposti sono incompatibili con altre esigenze. Le cooperative sociali hanno dimostrano negli anni di riuscire a conciliare elevati standard qualitativi del lavoro con organizzazioni flessibili, a tutto vantaggio del tasso di occupazione femminile». Rappresentanza al femminile Anche se quantitativamente la presenza delle donne è maggioritaria, le cariche sociali sono ancora prevalentemente ricoperte da uomini. «Questo fenomeno può avere due chiavi di lettura», prosegue Borzaga. «La prima è che la cultura manageriale è ancora maschilista, la seconda invece fa leva sul fatto che ruoli dirigenziali richiedono molto più tempo e non tutte le donne potrebbero essere disponibili a sacrificarne a discapito della famiglia». Analisi suffragata da uno studio realizzato qualche mese fa da Legacoop sulla forza lavoro di 25 cooperative sociali sparse in 13 regioni italiane: su 4.700 soci lavoratori, 3.378 erano donne e gli uomini solo 960. Su 19 dirigenti, 10 erano uomini: di questi, 9 lavoravano full time, mentre tra le 9 donne 3 lavoravano part-time. Tra i dirigenti gli unici che hanno optato per il part time sono donne; ogni 4 quadri a tempo parziale, 3 sono donne; nei ruoli impiegatizi, il rapporto è 1 a 20 e tra gli operai 1 a 3. « A essere sincera mi aspettavo un maggior numero di lavoratrici part time», afferma Costanza Fanelli, responsabile nazionale delle cooperative sociali per Legacoop. «Le cooperative sociali sono state per molte donne dei luoghi di crescita culturale e professionale: al loro interno, donne con una bassa scolarizzazione, attraverso percorsi formativi autogestiti hanno acquisito professionalità ancora non giustamente valorizzate e cui non viene riconosciuta la dignità dovuta, soprattutto nel campo dei servizi di assistenza». La soglia del management In Sardegna, su quattro consorzi che appartengono alla rete Cgm, tre sono presieduti da donne. Marina Spanu dirige il consorzio Sol.Co. di Nuoro che associa 14 cooperative sociali: 8 sono dirette da donne e 6 da uomini. «L’impresa sociale è un luogo in cui vi è una particolare attenzione ai bisogni della donna. Il part time è senz’altro utile per rendere compatibili gli impegni di lavoro con quelli familiari, ma può rappresentare anche un freno per la carriera professionale». Carriera che invece ha portato Vilma Mazzocco a presiedere la Confcooperative della Basilicata e alla vice presidenza nazionale di Federsolidarietà. «Nelle cooperative sono state valorizzate e cristallizzate le conoscenze e le competenze del lavoro di cura che in precedenza veniva esercitato all’interno del nucleo familiare. Gli elementi costitutivi dell’impresa sociale sono compatibili con le esigenze del lavoro femminile; al loro interno possono trovare occupazione sia donne quarantenni non qualificate con alle spalle esperienze di cura domestica, che giovani laureate che aspirano a un ruolo dirigenziale». Gli spazi all’interno delle cooperative sociali non scaturiscono solo da una maggiore sensibilità, ma anche da fattori culturali. «Nelle imprese sociali non ci sono archetipi presenti per esempio nella politica o nell’imprenditoria profit», spiega Stefania Fuscagni, membro dell’Authority del Terzo settore e presidente del Coordinamento italiano per il reinserimento sociale donne in difficoltà. «La presenza delle donne nell’economia sociale è favorita dall’assenza di modelli culturali precostituiti, come avviene nel settore delle libere professioni dove si è giudicati per quello che si è in grado di fare. Per mantenere queste caratteristiche, le imprese sociali devono poter rimanere strutture agili, “fresche”, non burocratizzate. Speriamo che il loro sviluppo vada in questa direzione».


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