Cultura
La Corporea Commedia. Storia del corpo perso e ritrovato
“La dieta sono io, come ho perso 50 chili. Definitivamente” è l'ultimo libro di Luca Doninelli. Una discesa nei sotterranei dell’obesità in cui Doninelli ci accompagna e che di cibo parla tutto sommato poco. La discesa e la risalita in questa Corporea Commedia parla piuttosto di libertà e cura affettuosa di sé. La recensione di Fabrizio D'Angelo
Non avevo mai letto un libro (Luca Doninelli, La dieta sono io, La Nave di Teseo, Milano, 2019) in cui si racconta come si prendono, e poi si perdono, cinquanta chili. Per quasi tutta la mia esistenza da obeso ne avrei avuto troppa paura. Ma ora che di chili ne ho persi un’ottantina anch’io, posso affrontare con sufficiente serenità il viaggio dietetico di Luca Doninelli e dunque ricordare il mio.
Ho conosciuto Luca ad una cena organizzata da un amico per parlare delle nostre esperienze parallele. La prima vera domanda che gli ho fatto è stata: “ma tu come fai a parlare in pubblico di tutto il dolore che c’è dentro un corpo come quello che abbiamo avuto noi?”. La sua risposta, onesta come i suoi occhi, è stata: “con ironia”.
Un’ironia, intendiamoci, bonaria. Non superficiale, ma molto, molto gentile nei confronti di chi ha prima perso il suo corpo e poi l’ha ritrovato. Si, perché ingrassare tanto significa soprattutto perdersi di vista.
Il libro di Luca questo lo sa e la sua prima parte si intitola appunto “la scomparsa del corpo”. Il corpo, e con lui un pezzo della nostra anima, scompare, ingoiato da un doppio fondo della coscienza molto simile a quello dei Ricordi dal sottosuolo di Dostoevskij. Che, subito all’esordio, dichiarano infatti: “non mi curo e non mi sono mai curato”.
Allo stesso modo Doninelli ci dice: “cominciai a dimenticarmi del mio corpo. Fu questa dimenticanza a condurmi all’obesità. Non mi amavo, non mi tenevo presente, non avevo a cuore me stesso”. Attorno a questa brutale franchezza, Luca costruisce il ritratto di un sé stesso estroverso, amante degli eccessi, brillante, colto, pieno di entusiasmi e fuori dagli schemi. Capace di ingrassare raccontandosi, almeno in apparenza, che va tutto bene. Siamo stati in tanti a comportarci e a pensarci così. Concordo però con Luca nell’affermare: “non ho mai conosciuto nessuno che sia riuscito in questo modo a raggiungere una pacificazione”. E che anzi “si avverte, sullo sfondo, l’insoddisfazione, l’amarezza, la tristezza”.
A questo punto ci resta da chiederci perché una persona smetta di volersi bene. Gli indizi di Doninelli sono precisi: si comincia con la “difficoltà a sopportare il peso della vita”, che prende la forma di un vago senso di inferiorità e dipendenza nei confronti degli altri. Altri che hanno comunque potere su di noi. A questo potere noi desideriamo sottrarci, attraverso “il tentativo di far scomparire il nostro corpo dall’assemblea dei corpi”. Ossia rendendoci irriconoscibili, invisibili per mezzo del grasso.
“L’obeso – scrive Luca Doninelli – è un individuo che ripete un’azione per allontanarsi da un potere che odia ma che egli crede di amare”. Insomma, “c’è qualcuno che noi obesi diciamo e pensiamo di amare e che in realtà detestiamo”.
La conclusione di Luca è esplicita: “l’obeso è un individuo che odia sé stesso”. E odia sé stesso perché non riesce ad accettare la parte di sé che in realtà odia chi dice di amare. Altro che Dostoevskij!
La cosa più incredibile di questa discesa nei sotterranei dell’obesità in cui Doninelli ci accompagna è che di cibo si parla tutto sommato poco. Qualche merendina, gelati, un paio di schifezze, il fondo delle teglie, un grande pezzo di pane caldo. Perché, ormai è chiaro, il problema non sta lì.
Siamo alla svolta del dramma. Il “sottosuolo” è lì, davanti ai nostri occhi. Descritto, articolato, compreso. Servono, per uscirne, due cose: un atto di ribellione, o meglio di libertà, e degli eroi positivi. Nel libro di Luca gli eroi arrivano sotto forma di Luciano, il ragazzone che ha perso cento chili e di Raffaella, la dietologa gentile. Cominciamo da Luciano. Un ragazzo dipendente dalla cocaina e del peso di duecento chili. Il padre muore e lui deve decidere cosa fare di sé. La risposta arriva lapidaria: “Ho deciso che dovevo diventare un uomo”. E aggiunge: “Mica un grand’uomo… Un uomo e basta”. Doninelli commenta così: “si poteva andare nella direzione di sempre, ma lui scelse di andare in un’altra: un filo di libertà è sempre possibile, anche se è difficile”. I cento chili persi da Luciano e il suo sorriso con “un grammo di dolcezza” diventano per Luca e per noi un simbolo di speranza. Una possibilità.
Un paio d’anni dopo arriva anche Raffaella, la dietologa “comicamente determinata a non lasciar vedere la propria natura gentile e delicata”. Il segreto di Raffaella è consistito –dice Doninelli- “nell’accogliere il mio corpo obeso quando io stesso non lo accoglievo più”. Il bravo dietologo secondo Luca è un medico che ha “una simpatia il più possibile naturale, non artefatta, per gli esseri umani così come sono, incluse le decine di chili di troppo”.
Possibilità di essere liberi e accettazione affettuosa di sé per come si è. Siamo finalmente, assieme a Doninelli, degli obesi disposti a farcela.
Gli ingredienti della risalita sono affascinanti quanto i dettagli della discesa. Scelgo tre cose che mi hanno colpito: le finestrelle, la pratica quotidiana della cura di sé, e il difficile, ma meraviglioso esercizio della libertà.
Cominciamo dalle finestrelle. L’obeso è in qualche modo prigioniero del suo isolamento. Il suo “io” ingloba tutto ciò che vi sta familiarmente dentro, e perde il senso dell’altro. Le finestrelle, che io leggendo il libro immagino come i tagli di Fontana, sono delle fessure. Doninelli le descrive come “delle specie di aperture tra questo nostro ego prolungato e un’altra cosa: quella cosa misteriosa che chiamiamo realtà”. Tenere aperta una finestrella significa accettare la realtà, l’altro. E in fondo il primo altro da accettare siamo proprio noi stessi.
Una volta fatto questo primo passo possiamo fare il successivo: chiedere aiuto. Una delle cose più belle del racconto di Luca è il paradosso per cui se è vero che si sprofonda da soli, si risale sempre in compagnia. In compagnia degli amici, dei medici gentili, di chi ci ama e si prende cura di noi. Per chi l’ha fatta è un’esperienza molto forte. Da augurare di cuore a tutti quanti.
Viene proprio da dire, con Dante, che Doninelli è risalito per primo, io per secondo, “tanto ch'i' vidi de le cose belle che porta 'l ciel, per un pertugio tondo. E quindi uscimmo a riveder le stelle”.
L’ultima parte del libro si intitola “come continuare a stare bene”. Ci porta alla conclusione che la cura di sé e la pratica della libertà sono una sfida quotidiana. Sfida difficile, ma possibile. Non senza cadute e ripartenze. Ma cura e libertà sono anche la porta d’accesso, l’unica che abbiamo, a tutto ciò che di bello c’è al mondo e in noi stessi. E noi -insegna Doninelli- “dobbiamo stare vicini alla bellezza”.
Allo stesso modo Doninelli ci dice: “cominciai a dimenticarmi del mio corpo. Fu questa dimenticanza a condurmi all’obesità. Non mi amavo, non mi tenevo presente, non avevo a cuore me stesso”.
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