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Di sabbia e di blu - Vita.it


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Mondo

Di sabbia e di blu

Un paese africano abitato da popoli misteriosi e affascinanti. Paesaggi mozzafiato.

di Giampaolo Cerri

Un paese africano abitato da popoli misteriosi e affascinanti. Paesaggi mozzafiato. Un mix che ha abbagliato l’occhio e l’anima di Marco Aime, giornalista e antropologo. Che in queste pagine ci accompagna nel viaggio Il Mali è un’eterna attesa. La sensazione che si prova percorrendone le piste sabbiose è che qualcosa, in quelle piane seccate dal sole, stia sempre per arrivare o accadere. Il Sahel è soprattutto un’assenza. Stupisce più per ciò che manca che per ciò che vediamo. E stupisce perché non nasconde nulla, tutto è lì, davanti agli occhi del viaggiatore e quel tutto deve essere colto nel suo muoversi impercettibile. Il Mali non è un Paese dai toni forti, occorre un palato raffinato per apprezzarlo. Moschee di terra Spesso l’Africa occupa nell’immaginario occidentale un ruolo da parco di divertimenti, pieno di emozioni fatte di avventura, grandi animali feroci, savane smisurate di hemingwayana memoria. Niente di tutto questo si trova in Mali, perché il Mali è soprattutto la sua gente. Molti turisti in Africa cercano gli animali, perché con loro non ci si deve confrontare. Per comprendere questo Paese occorre invece fermarsi a osservare i suoi colorati mercati, il via vai di donne con le calebasse in testa, occorre sedersi con calma all’ombra di un albero, nel centro di un villaggio e chiacchierare con gli anziani del posto. Solo così si possono cogliere le mille sfumature di questo Paese, la cui ricchezza nasce soprattutto dall’incontro tra la cultura tradizionale e quella islamica, arrivata sul dorso dei cammelli di quei mercanti che attraversavano il deserto. Di qui, da quei ricchi commerci transahariani è nata Timbuktu, la mitica città dell’oro di cui nel Medioevo si favoleggiava in tutto l’Occidente. Circondata dalla sabbia, che ne invade anche le strade, oggi Timbuktu sembra una città abbandonata, ma le sue antiche moschee di terra e i suoi preziosissimi manoscritti, conservati presso il Centro Ahmed Baba, testimoniano ancora i fasti e la ricchezza culturale che in passato caratterizzarono questa città. Oggi, come un tempo, Timbuktu è un crocevia etnico. Lo si legge sui volti della sua gente. Passeggiando per le strade si vedono i profili affilati dei tuareg, avvolti nei loro cheches blu, i visi chiari dei mauri e poi songhay, bozo, peul. Chi viene a Timbuktu si aspetta di vedere i tuareg. Cosa sarebbe ai nostri occhi la città senza quegli «uomini blu» che hanno sempre esercitato un fascino sottile su noi occidentali? Essendoci costruiti un mondo dove tutto è a portata di mano con una gabbia di norme e sicurezze per rendere il più possibile prevedibile la nostra esistenza di sedentari, sognamo dietro a «uomini blu», «figli del vento» e spazi immensi, dimenticando che per trovare un po’ d’acqua occorrono ore di cammino. Viene quasi da pensare che anche il mistero che avvolge la loro origine (discendenti degli antichi Egizi, di popolazioni yemenite, berberi) sia volutamente mantenuto tale per non spoetizzare l’immagine che abbiamo di loro. I tuareg e i puel Nomadi anche loro e, come i tuareg, legati alla storia antica di questo paese i peul sono una componente essenziale del paesaggio saheliano. è difficile pensare a queste lande assolate senza l’immagine, resa tremolante dal calore, di una mandria che le attraversa lentamente, sollevando nuvolette di polvere. è come vivere una visione monca. Questi viandanti del Sahel costituiscono una sorta di filo conduttore di qualunque viaggio. Li si trova ovunque in Africa occidentale. «La vacca è il padre dei peul», così recita un proverbio, mettendo in luce l’importanza di tale animale nella cultura di questi allevatori saheliani. Tutto viene calcolato in vacche, il bestiame è il simbolo della riuscita di un individuo, la sua ricchezza. La vacca è anche la protagonista della ricchissima letteratura orale di questo popolo, che ne esalta la bellezza con poemi raffinati, dove viene chiamata «tortora del paradiso». Nel Fantang, un poema mitico, la bellezza delle vacche viene addirittura messa a confronto con quella delle donne le quali, narra il poema, per essere belle devono indossare monili, mentre le vacche «non hanno braccialetti, né collane d’ambra. Ovunque passino, di giorno o di notte, si crea uno spettacolo». Pertanto occorre dare retta al proverbio che sostiene: «Quando un peul dice di non amare le vacche, non è che un inganno, perché lui le sta già cercando». A sud di Mopti, vivace porto sul Niger, l’altopiano precipita sulla piana sabbiosa, formando una parete di roccia alta trecento metri. è la celebre falaise di Bandiagara, culla della cultura dogon. Percorrere a piedi la falaise è come passare davanti a un enorme quadro monocromatico. La terra delle abitazioni si confonde con lo sfondo della roccia. I villaggi sembrano grandi camaleonti, che si nascondono all’occhio. Solo le piogge estive, quando il cielo è generoso, pennellano qua e là di verde questa terra. Visti dalla piana arida, che un tempo era una savana verdissima, i villaggi dogon, con le loro capanne dal tettuccio di paglia, sembrano presepi aggrappati alle rocce giallastre della falaise. Come presepi Bisogna andarci a piedi nel paese dogon perché, come diceva Cesare Pavese, «c’è la stessa differenza che guardare un’acqua e saltarci dentro». Percorrere la falaise per poi infilarsi nelle spaccature di roccia e risalire sul plateau roccioso, dove i campi sono pozze di terra, lasciate libere dalla crosta dura e violacea della pietra. Roccia e sabbia: i dogon vivono tra questi due elementi. Il piede dogon o calpesta lame taglienti o sprofonda. Resi celebri dal libro Dio d’acqua dell’etnologo francese Marcel Griaule, i dogon devono la loro fama alla complessa cosmogonia e al riflettersi di questa tradizione in ogni gesto, in ogni oggetto, in ogni momento della vita quotidiana. Tutto qui sembra essere simbolo e si ricollega alla visione totale del mondo. Oggi la realtà dogon è assai più prosaica, fatta di emigrazione giovanile e di una trasformazione sia sociale sia sul piano delle credenze religiose. Per sopperire alle frequenti siccità, i dogon hanno sviluppato la costruzione di piccoli barrages per raccogliere acqua e irrigare i campi. Questo ha modificato le reti matrimoniali tradizionali. Le ragazze, cui spetta l’approvvigionamento dell’acqua, scelgono i mariti anche in base alla vicinanza di un barrage al loro campo. Come ha sintetizzato ironicamente un coltivatore di Anakanda: «Non si sposa più un uomo, si sposa il barrage». Nella terra dei dogon Consigli al viaggiatore consapevole La falesia di Bandiagara, la zona abitata dal popolo dei dogon, è una delle principali attrazioni dell’Africa occidentale, un’enorme scarpata di roccia che si estende per circa 150 chilometri nel Sahel a est di Mopti. I dogon sono un popolo di contadini incredibilmente industriosi, famosi per le loro abilità artistiche. La loro cultura è ricca di tradizioni e di rituali che derivano da una visione del mondo impregnata di una complessa mitologia. Il modo migliore per visitare il Paese dei dogon è fare un trekking lungo la falesia, spostandosi da un villaggio all’altro per conoscere la cultura di questo popolo e ammirare il paesaggio. Per conoscere la gente: visitare i villaggi più piccoli, dove si soggiorna presso le famiglie. Si usa mettere il sacco a pelo sul tetto di una casa e dormire sotto le stelle; è un’esperienza meravigliosa, in particolare quando, alle prime ore del mattino, la luce del sole illumina la cima dei giganteschi dirupi e si sentono i rumori del villaggio che si risveglia. Per incoraggiare l’artigianato locale: ci sono delle cooperative che vendono tessuti, tappeti e ceramiche confezionati direttamente dalle famiglie del luogo, come la cooperativa Nieleni, a Segou, una città interessante e solitamente trascurata dal turismo “classico”. Per salvaguardare l’ambiente: i villaggi dogon non riescono a far fronte al problema dell’aumento dei rifiuti dovuto alla presenza dei turisti. Cercate di ridurre al minimo la produzione dei rifiuti. Raccoglieteli e buttateli , a Bandiagara o in un’altra città. Per incontrare una cultura autentica: una potenziale conseguenza del turismo nei paesi dogon è la distruzione di questa cultura così particolare e così ricca di tradizioni. Camminare in punta di piedi nel rispetto delle usanze locali è la regola d’oro del turista responsabile. Nei paesi dogon i turisti si stanno portando via tutto: utensili antichi, maschere tradizionali, persino le porte delle case. Il consiglio, se si vuole un souvenir, è quello di comprare gli oggetti fabbricati apposta per i turisti, o i prodotti dell’artigianato locale. Come attrezzarsi: durante i trekking la regola principale è portare il meno possibile perché i sentieri sono stretti e a volte ricoperti di sabbia. Utili scarpe robuste, indispensabili cappello e borraccia per affrontare colpi di calore e disidratazione. In mali con… il Cisv II Cisv, organizzazione non governativa di Torino, propone due viaggi responsabili: in Burkina Faso e Mali dal 26 luglio al 16 agosto 2002 e solo in Mali dal 3 al 20 gennaio 2003.Il viaggio invernale si sviluppa lungo il fiume Niger, da sempre luogo di incontro di popoli diversi, con la visita ai progetti Cisv contro la desertificazione, fino a Timbuktu. Info: cta.torino@flashnet.it www.viaggisolidali.it tel 011.4379468 In Mali con… Il tucano Il Tucano Viaggi ha inserito nella sua filosofia di viaggio il criterio del rispetto di ambienti, culture, costumi e tradizioni e la difesa dei diritti umani. Propone due mete a chi vuole conoscere il Mali attraverso l’incontro con le culture locali: in Mali e Burkina Faso dal 28 marzo al 9 aprile e solo in Mali dal 27 marzo all’11 aprile. Info: info@tucanoviaggi.com tucanoviaggi.com tel 011.5617061 Il mali in cifre Capitale: Bamako Popolazione: 12 milioni di abitanti Superficie: 1.240.140 kmq Lingua ufficiale: francese Moneta: franco CFA Fuso orario: -1 rispetto all’ora solare in Italia Indice di sviluppo umano: Il Mali è al 167° posto nella lista dei 183 Paesi redatta dalle Nazioni Unite sulla base di tre fattori: speranza di vita, istruzione e potere d’acquisto Periodo migliore per il viaggio: da ottobre a febbraio Il nome: Mali significa ippopotamo e fu scelto in omaggio alla forza e alla grandezza del suo impero e alla sua storia millenaria Itinerari 1.Due settimane: Mopti – Djenné, antica moschea e mercato – Bandiagara, escursione nella terra dei Dogon – Timbuktu 2. Tre settimane: Bamako – Segou – Djenné, antica moschea e mercato – Bandiagara, trekking di più giorni nella terra dei Dogon – Timbuktu 3. Itinerario lungo il Niger: si usano le piroghe ormeggiate lungo il fiume per fare escursioni nei vari luoghi situati lungo il corso del Niger. Da Bamako, la capitale, fino alla mitica Timbuktu. Un libro da portare… Marco Aime, Le radici nella sabbia, Edt, Torino 1999, pp.150, 9,30 euro. Un libro scritto con passione, dall’autore del reportage pubblicato in queste pagine. Marco Aime è antropologo e giornalista, esperto di Sahel. …una guida… Guida Lonely planet, Niger e Mali, Edt, Torino 2000, pp.386, 20,14 euro. è indispensabile. Da sempre offre indicazioni pratiche per viaggiare in modo intelligente. Sempre più sensibile al turismo responsabile. …e un disco Mali to Memphis: An African-American Odyssey, Putumayo World Music. Una parte dei proventi dei dischi venduti da Putumayo finanzia ong che lavorano nei Paesi da cui provengono gli artisti che partecipano al disco.


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