Formazione

Napoli, i sogni negli stracci

Le speranze di un nuovo Rinascimento e le antiche piaghe di una città che si reclama capitale del Mezzogiorno

di Luciana Matarese

Il sole, il mare, e la pizza Margherita, Piazza del Plebiscito e, in lontananza, il Vesuvio che lievita dalle acque azzurrissime. Ma anche il sindaco Bassolino, il riscatto napoletano e la rinascita di una città che reclama a gran voce il ruolo di capitale del Mezzogiorno d’Italia. Esportando anche all’estero l’immagine di una città in fermento. Ma, a ben guardare, sotto la patina stucchevole del vecchio cliché “solarità-spensieratezza e romanticismo melodico”, e anche del più recente “laboratorio di idee e di opportunità”, si intravede una piaga ancora aperta che getta bagliori sanguigni sull’immagine della città: quella del disagio sociale. Una congerie di fenomeni di marginalità e devianza in crescita esponenziale a Napoli e nelle province limitrofe. Mali vecchi e nuovi che continuano a ripresentarsi in forme mutate, colpendo al cuore la città, che vede messa a dura prova la proverbiale vitalità dei suoi abitanti. Dei quali, 200 mila, in età lavorativa, sono disoccupati. «Un dato allarmante», commenta Alfonso Natale, della Cgil provinciale, «sul quale non incidono né i contratti di formazione lavoro né le formule part-time». Una disoccupazione storica che, oggi come ieri, trova il suo corrispettivo in quel sistema di traffici leciti e illeciti sottoposto anch’esso alle leggi del mercato economico nazionale, saldi inclusi.

I ragazzini dei Quartieri Spagnoli
Basta fare un giro per i vicoli della Sanità, fermarsi a parlare con una venditrice di sigarette di contrabbando di Forcella, per rendersi conto di quanto quell’“economia del vicolo” di cui parlava un giornalista del ’64, sia ancora fiorente.
Nei Quartieri Spagnoli sfrecciano stormi di ragazzini in motorino: ti chiedi se anche loro rientrino in quel 4,3% – nel 1983 era il 3,5% – di minori contro i quali l’autorità giudiziaria ha avviato un procedimento penale. Se anche loro, lusingati da guadagni facili, vadano a ingrossare le fila dell’evasione scolastica, assestata su tassi elevatissimi a Scampia, Ponticelli e nelle fasce periferiche. Dove – l’ultimo caso a Ercolano il 9 luglio – i quindicenni continuano a morire cadendo dalle impalcature. Storie diverse con una caratteristica comune: aver valicato il confine della visibilità sociale. Perché chi si trova a vivere senza casa, senza documenti, senza lavoro, entra in una città invisibile, facile preda di circuiti “paralleli” come la malavita organizzata e la prostituzione. Per Natalia, che sta alla stazione centrale, è andata così: con la droga la scelta del marciapiede, tanto più che con la “grana” può vestire bene i suoi 30 anni. Un figlio gliel’hanno già portato via e faranno lo stesso con quello che ha in grembo.

Sui binari, in attesa di pensione
Sui binari vive anche Tonina, 59 anni, da 15 per strada. È invalida alle gambe ma rifiuta di farsi aiutare perché «un giorno potrebbero non darmi la pensione». Storie in carne e ossa che appartengono a quella moltitudine di invisibili che è impossibile quantificare. Anche per chi, come la Caritas Diocesana di Monsignor Vincenzo Mango, sul fronte dei diseredati è impegnata da sempre. Sotto la sua egida è nato, nel ’95, il “Binario Solidarietà” nel piazzale retrostante i binari di Piazza Garibaldi, dove si concentra la maggior parte dei clochard partenopei. Per i quali sono attive in tutta la città 18 mense, gestite in prevalenza da religiosi. «In 4 anni», dice un responsabile, «sono passate 450 persone. Quantificare i senza tetto è complicato perché l’80% ha un domicilio. Quest’anno proveremo a contarli».

Disperati in giacca e cravatta
Sfuggono alle statistiche anche i tossicodipendenti, più di mille solo quelli dichiarati. E mentre il registro delle presenze del Centro di recupero “La Tenda” si infittisce – 250 presenze nel ’98 contro i 163 del ’97 – sale al 40% la percentuale degli ospiti che interrompono i programmi riabilitativi. «Il fenomeno è in aumento» spiega Maria Rosaria Carbone, assistente sociale della comunità, «ma sono cambiate le tipologie del consumo e dei consumatori. L’incontro con le droghe leggere avviene alle scuole medie inferiori, cosicché alle superiori si passa a quelle pesanti».
Un dato che trova conferma anche nell’hinterland vesuviano, dove all’avanzata del nuovo tossico in giacca e cravatta, di cui parla la sociologa Alessandra Rosa della comunità “Fanelli” di Castellammare, risponde il silenzio delle famiglie – neanche uno squillo in 5 mesi di vita – registrato da un centro d’ascolto di Ercolano. In espansione anche l’emergenza Aids, con 1.414 casi segnalati. E una particolarità: a Napoli, il contagio colpisce soprattutto le giovani donne. «Per questo», spiega Carmela Maietta, presidente dell’Anlaids regionale, «in collaborazione col Comune di Napoli, il 1° dicembre, inaugureremo a Secondigliano una casa famiglia per madri e bambini sieropositivi».

Immigrati e rom, è emergenza
Scarse invece le iniziative per far fronte alla presenza dei 45 mila immigrati extracomunitari, dei quali solo il quindici per cento è inserito nei normali circuiti lavorativi. Al momento, l’unico progetto che dovrebbe decollare su scala regionale, a cui sta lavorando anche l’Arci, si chiama “Baia del re”, finalizzato alla creazione di agenzie per il loro inserimento sociale e lavorativo.
«Ma il collegamento tra pubblico e privato è problematico», sottolinea Aladino Miguel José, responsabile Uil del settore, «ed è necessario che le istituzioni affrontino l’argomento con approccio meno approssimativo e comincino a porsi il problema delle seconde generazioni». Ancora più pessimista sull’eventualità dell’integrazione dei 1.500 rom presenti a Napoli, è il responsabile dell’Opera Nomadi, Amedeo Curatoli.
Specie dopo l’intolleranza dimostrata dagli abitanti di Scampia che, a fine giugno, hanno dato fuoco alle baracche degli zingari. «I rom, quasi tutti serbi, si sono ormai dispersi. Alcuni nuclei sono rimasti a Scampia, altri si sono sistemati ad Acerra, in un’area dell’Alfa Romeo, ma non li vogliono nemmeno lì. Il Comune sta allestendo un campo nomadi alle spalle del carcere di Secondigliano e tra qualche mese potrà ospitare 600 rom. Ma, se non cambia la mentalità nei confronti degli zingari, non credo che riusciremo mai a risolvere il problema».

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