Non profit

Ecco come salveremo la memoria dei ghiacciai

Un progetto promosso dall’Università di Grenoble Alpes e dalla sua Fondazione, dall’Università Ca’ Foscari Venezia, dal CNRS dal CNR e dall’IRD pensato per salvare la memoria geologica della Terra attraverso dei carotaggi dei principali ghiacci perenni

di Francesco Crippa

I ghiacciai di tutto il mondo portano memoria della storia geologica della Terra, ma stanno scomparendo e con loro si perde il patrimonio che custodiscono. Bastano pochi numeri per capire: nel Catasto dei Ghiacciai Italiani del 1984 si contavano 61 mila ettari di superfice, oggi sono solo 37 mila, circa il 40% in meno rispetto a 30 anni fa.

Proprio a causa di questa progressiva ritirata, è bene salvaguardare i giacimenti di neve perenne, che poi perenne tanto non è… Per questo è nato il progetto “Salvare la memoria dei ghiacciai”, promosso dall’Università di Grenoble Alpes e dalla sua Fondzione, dall’Università Ca’ Foscari Venezia, dal CNRS (Centre national de la recherche scientifique) dal CNR e dall’IRD (Institut de recherche pour le développement). Il progetto, avviato nel 2015, vedrà la sua prima tappa, o “missione”, come la definiscono gli scienziati, dal prossimo 15 agosto fino all’inizio di settembre presso il ghiacciaio del Col du Dome (a quota 4300m circa, sul Monte Bianco, versante francese), dove una squadra di dodici glaciologi ed ingegneri italiani, francesi, russi ed americani estrarrà dal ghiacciao le prime tre “carote-patrimonio”, lunghe 130m ciascuna. “L’obbiettivo è quello di avviare la prima biblioteca mondiale degli archivi di ghiaccio estratti dai ghiacciai minacciati dal surriscaldamento globale”, come si può leggere nel comunicato stampa dell’Università Ca’ Foscari.

Le tre gigantesche carote di ghiaccio che verranno estratte saranno innanzitutto conservate al Laboratorio di glaciologia e geofisica dell’ambiente (LGGE) di Grenoble. Successivamente, saranno spostate in un’apposita cella frigorifera. Ma dove la si trova una cella frigorifera in grado di ospitare un pezzo di ghiaccio lungo 130m? In Antartide, naturalmente. È qui che due delle tre “carote-patrimoni” verranno portate, nel 2020, grazie ad un viaggio per nave e veicolo cingolato, che terminerà in una grotta scavata sotto la neve a -54°C; l’altra sarà invece analizzata nel 2019 per costituire una base dati a disposizione di tutta la comunità scientifica mondiale.

Ma perché tutto questo sforzo? Per lasciare testimonianza di quella che è la nostra Terra a chi l’abiterà nel domani. «La nostra generazione di scienziati, testimone del riscaldamento globale, ha una grande responsabilità verso le generazioni future. Per questo doneremo campioni di ghiaccio provenienti dai più fragili ghiacciai alla comunità scientifica dei decenni e dei secoli a venire, quando questi ghiacciai saranno scomparsi o avranno perso la qualità dei loro archivi» afferma Carlo Barbante, promotore italiano del progetto, direttore dell’Istituto per la dinamica dei processi ambientali del Consiglio nazionale delle ricerche (Idpa-Cnr) e professore all’Università Ca’ Foscari Venezia.

Il Col du Dome è solo la prima tappa di un lungo progetto. La prossima missione, prevista per il 2017, avrà luogo sul ghiacciaio dell’Illimani, nelle Ande boliviane. Altri paesi sono in lizza per accedere al progetto di salvaguardia dei propri ghiacciai: Germania, Austria, Svizzera, Brasile, USA, Canada, Russia, Cina e Nepal. L’Italia, già nel progetto, dovrebbe cercare di estenderlo a tutte le Alpi, i cui ghiacciai sono spaventosamente danneggiati dal surriscaldamento globale: dal 1981 ai giorni nostri, gli archivi glaciali delle sole Alpi centrali hanno perso duemila miliardi di litri d’acqua, circa quattro volte il lago Trasimeno; l’Adamello, ad esempio ha perso quasi 1000 ettari nell’ultimo secolo. Claudio Smiraglia, docente di glaciologia all'università di Milano, spiega che questo andamento è, almeno nell’immediato, irrefrenabile: «Gli scenari futuri indicano che un'inversione della tendenza in corso è alquanto improbabile e che nell'arco di pochi decenni si potrebbe realizzare un ulteriore avvicinamento a un paesaggio alpino, più simile ai Pirenei e agli Appennini, ormai quasi totalmente privo di ghiacciai, che sembra il destino inevitabile delle montagne del futuro".

In foto: tenda di Carotaggio presso il Col du Dome con vista sulla vetta del Monte Bianco

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