Politica
Welfare Lazio: finalmente una riforma per i cittadini
Nella notte tra venerdì 15 e sabato 16 luglio, il Consiglio regionale del Lazio ha approvato la proposta di legge n. 88 del 2013 di riforma dei servizi sociali. Teresa Petrangolini, consigliera regionale illustra i punti innovativi della Riforma
Il cammino percorso per l’elaborazione di questa legge è importante quasi quanto i suoi contenuti. Il lavoro impostato dall’Assessore Visini, avviato con l’emanazione delle Linee guida e l’ampia e preziosa attività di stesura iniziale del testo, ha messo tutti nelle condizioni ottimali per fornire al meglio il proprio contributo.
Era il mese di settembre del 2013 quando, con un seminario (intitolato non a caso “Tutti inclusi”) siamo stati chiamati a “partecipare” al lavoro di elaborazione di questa proposta di legge, a partire dalle Linee guida elaborate dall’Assessorato. In quell’occasione ho coordinato il Gruppo di lavoro sull’integrazione socio-sanitaria, e ricordo bene la quantità e la qualità della partecipazione che ci sono state.
Sono seguiti altri tavoli di lavoro, poi l’approvazione della proposta di legge in Giunta, quindi l’audizione in Commissione Politiche sociali e salute di più di sessanta realtà, tra istituzioni e associazioni, che hanno arricchito via via di contributi preziosi questo lavoro. Tutte le istanze e i suggerimenti emersi dalle audizioni sono stati presi in esame, e in gran parte recepiti in più di 200 emendamenti al testo di base, in un lavoro lungo, difficile e delicato della Sottocommissione, a cui pure ho potuto fornire il mio apporto. A questi si sono aggiunte altre centinaia di emendamenti dei consiglieri di maggioranza e di opposizione, che abbiamo discusso nel merito, uno per uno, per arrivare ora al documento finale.
Flessibilità e nuovi bisogni
Le inevitabili posizioni divergenti sono state ampiamente superate nella volontà di tutti di mettere a fattor comune il bene delle persone. Prendendo atto di una società in continua evoluzione e constatando l’emergere dei nuovi bisogni sono, infatti, di volta in volta, prevalse le posizioni che garantivano un allargamento dei diritti ed un percorso verso il benessere degli individui. Si è voluto dare a questa legge un respiro ampio, partendo dall’analisi dei bisogni presenti e concreti delle persone, ma con uno sguardo lungo in prospettiva, che la rende flessibile e adattabile ai cambiamenti futuri (“flessibilità” nell’individuazione dei nuovi bisogni, ma anche, per esempio, nell’organizzazione degli interventi e dei servizi sociali, laddove si lascia ai territori e ai comuni il compito di trovare il modo più efficace di esercizio associato delle funzioni). Tra i nuovi bisogni penso, ad esempio, al bullismo e alla ludopatia, ai quali abbiamo peraltro dedicato leggi ad hoc, ma anche al problema della pedofilia e alla pedopornografia, ai disturbi del comportamento alimentare, alla dipendenza da tecnologia, al sostegno dei genitori separati.
Inclusione e cambiamento
Le politiche del sistema integrato, si rivolgono a tutti, in particolare, alle famiglie e ai minori, alle persone con disabilità, alle persone con disagio psichico, alle persone anziane, agli immigrati e altre minoranze, alle persone vittime di violenza e maltrattamenti, alle donne incinte o madri in situazione di disagio sociale, alle persone sottoposte a provvedimenti penali e alle persone senza dimora, e riguardano anche la prevenzione e il trattamento delle dipendenze, le politiche abitative e la rigenerazione urbana, nonché l’inserimento lavorativo delle persone svantaggiate.
Abbiamo, inoltre, posto attenzione al modo in cui la nostra società è cambiata e si sta evolvendo: centralità della famiglia e sostegno ad una paternità e ad una maternità libere e responsabili, certo, ma anche apertura a nuove e diverse forme di “famiglie” e quindi centralità del concetto di famiglia anagrafica; centralità del concetto di cittadinanza, certo, ma di cittadinanza sociale che, nell’epoca difficile (come sperimentiamo drammaticamente ogni giorno) delle migrazioni epocali, garantisce assistenza ai cittadini residenti, ma anche agli stranieri regolari o in attesa di regolarizzazione, fino a non porsi il problema dello status burocratico della persona, quando è una donna incinta o un minore privo di tutela o una persona in situazione tale da esigere un intervento non differibile. Chi è in difficoltà va aiutato, a prescindere dalla sua carta d’identità. Così come la legge fa una scelta di campo importante, aderendo all’idea di superamento del modello dei campi nomadi, che non ha certo migliorato la vita delle comunità Rom, Sinti e Caminanti, ma solo quelle delle varie “mafie” che sui diseredati e sugli immigrati in questi anni hanno prosperato.
Innovazione e persona
Il tratto più innovativo della legge appena approvata – che vorrei evidenziare – il “filo rosso” che tiene insieme tutte le politiche, dal primo all’ultimo articolo, è la centralità della persona e della sua dimensione vitale e affettiva. Il concetto è espresso molto bene nell’articolo 71, che è l’ultimo articolo della p.l., ma anche la sua chiave di lettura: “Il benessere e lo sviluppo della persona, sia come singolo che nelle formazioni sociali in cui si aggrega, in particolare la famiglia e le comunità sociali, quale unica destinataria degli interventi e dei servizi sociali, sono non solo la finalità ma anche l’unico criterio di attuazione e di interpretazione della presente legge e di tutti gli istituti contemplati.”
Autonomia e vita indipendente
Lo dice bene l’articolo 4, nell’enunciazione degli “obiettivi” della legge quando parla di “sostenere la vita indipendente delle persone” in difficoltà, “attraverso servizi che favoriscano l’autonomia e il mantenimento a domicilio e il sostegno alle famiglie”, e anche l’articolo 5, quando pone tra i “principi”, la “promozione dell’autonomia e della vita indipendente, con particolare riferimento al sostegno alle scelte di permanenza al proprio domicilio delle persone in condizioni di non autosufficienza o con limitata autonomia”.
In quest’ottica, la centralità della persona e la partecipazione attiva, anche nell’ambito del proprio percorso assistenziale, sono messi in evidenza, in particolare, all’articolo 8, in cui si specifica che il piano di assistenza deve essere personalizzato e predisposto “d’intesa con il beneficiario ed eventualmente con i suoi familiari”, e all’articolo 4 quando si afferma che la persona ha il “diritto di scelta fra le prestazioni erogabili”.
Sussidiarietà e partecipazione
C’è un cambio di paradigma: si passa dall’idea di “welfare state” degli anni ’70, di “Stato assistenziale” (non ce ne sono più le condizioni economiche, ma neanche più forse la nostalgia) a un’idea nuova di “welfare”, basata più sull’articolo 118 della Costituzione, sulla “sussidiarietà orizzontale”, sulla partecipazione civica, sulla cittadinanza attiva, sull’idea che lo Stato non si sostituisce ai cittadini, ma si pone al loro fianco, ne “favorisce l’autonoma iniziativa”, valorizzando tutto quello che l’intelligenza collettiva, le comunità e il Terzo settore riescono a mettere in campo e subentrando laddove ci sono situazioni di isolamento e di solitudine.
Da questo punto di vista l’articolo 4 sottolinea proprio la “valorizzazione del protagonismo e della partecipazione diretta delle comunità locali, intese come sistemi di relazione tra persone, istituzioni, famiglie e organizzazioni sociali, attraverso interventi specifici tesi a favorire la cittadinanza attiva, responsabile e lo sviluppo locale e comunitario”
Anche l’articolo 5 parla di “promozione della solidarietà sociale, favorendo l’autonoma iniziativa dei cittadini singoli o associati, nonché le iniziative di reciprocità e di auto aiuto delle persone, delle famiglie e delle comunità”, o anche, tra i criteri organizzativi, di “partecipazione attiva dei cittadini, partecipazione delle organizzazioni sociali ai processi di programmazione e co-progettazione degli interventi e dei servizi”.
Valutazione del sistema
E’ richiesta la partecipazione dei cittadini anche sulla verifica della corretta attuazione della legge e sulla qualità dei servizi del sistema. Un elemento qualificante di questa legge, infatti, riguarda l’introduzione di strumenti per la qualità del sistema integrato come, ad esempio, la Carta sociale del cittadino che contiene, tra l’altro, la mappa dei percorsi assistenziali e la tipologia dei servizi e degli interventi sociali presenti nel territorio e la Carta dei servizi sociali, che adottano i soggetti pubblici e privati che erogano prestazioni sociali e che contiene, fra le altre cose, le modalità di accesso, orari e tempi delle prestazioni, le modalità di presentazioni dei reclami da parte degli utenti, e soprattutto, le modalità di rilevazione della qualità erogata e percepita nei servizi, nonché di partecipazione degli utenti al controllo di qualità dei servizi. Ci tengo, in particolar modo, a sottolineare l’istituzione dell’Ufficio di tutela e garanzia dei diritti degli utenti del sistema integrato che, come una specie di “difensore civico sociale”, ha compiti di impulso nei confronti degli enti e dei soggetti erogatori di interventi e servizi sociali, a fronte di segnalazioni e reclami da parte degli utenti e delle loro associazioni rappresentative.
Integrazione e presa in carico
Ma l’innovazione più profonda riguarda la grande sfida dell’integrazione socio-sanitaria e dellapresa in carico globale della persona e dei suoi bisogni, da realizzarsi, per esempio:
- con il punto unico di accesso (PUA), quale porta di ingresso alle prestazioni socio-sanitarie;
- con i percorsi domiciliari di continuità assistenziale, che garantiscono la prosecuzione delle prestazioni sanitarie in forma integrata con le prestazioni sociali;
- con il dialogo tra Istituzioni (Tavolo di coordinamento interassessorile; Conferenza locale sociale e sanitaria; Conferenza permanente per la programmazione socio-sanitaria);
- con il superamento dei problemi di risorse e di competenza tra servizi sociali e sanitari, attraverso la creazione di un budget unico di distretto e favorendo una collaborazione tra uffici (che diventa elemento di valutazione dei rispettivi dirigenti).
Penso che la bontà di una legge non si veda solo dai principi che contiene, ma anche, e soprattutto, dalla sua capacità di calarsi nella realtà per essere immediatamente applicata. Si è partiti dall’individuare e favorire tutto ciò che è nato dall’esperienza concreta, riconoscendo i nuovi bisogni e prendendo spunto dalle “buone pratiche” che nascono in seno alla società.
Valorizzazione buone pratiche
Tra le buone pratiche mi vengono in mente la pratica collaborativa che consente di dirimere le controversie tra coniugi in maniera, per l’appunto, collaborativa e non conflittuale; il riconoscimento del ruolo terapeutico e sociale dell’agricoltura sociale e del cohousing che consente all’individuo solo, o alle famiglie in difficoltà, di fare di nuovo comunità e di trovare, nell’unione, quella forza che da solo gli mancava; fino al caregiver, figura che non è ancora compresa nel testo di legge, ma che esiste ed è diffusa in Italia e in Europa, dove persone volontarie prestano assistenza in modo gratuito (secondo dati ISTAT, l’80% del lavoro di cura delle persone, con un valore economico tra il 50 ed il 90% del costo complessivo dei servizi di assistenza formale a lungo termine), e che proporrò con un emendamento di riconoscere formalmente, non per burocratizzarla ma per poterla concretamente sostenere.
Penso, infine, che il percorso intrapreso abbia portato buoni frutti. Dobbiamo sentire tutti la responsabilità, ma anche la forza, di questo enorme lavoro collettivo, un lavoro che davvero può essere intestato all’intera comunità della nostra Regione e che, ora, dopo l’approvazione da parte dell’Aula del Consiglio regionale, siamo chiamati a portare compimento nel migliore dei modi.
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