Non profit
Beni confiscati alle Mafie? Le gestisca un Ente pubblico
Fondazione con il Sud ha presentato una proposta di revisione dell’attuale normativa sull’utilizzo e la gestione dei patrimoni sottratti alla criminalità organizzata
Secondo uno studio della Fondazione con il Sud, realizzato in collaborazione con il Forum del Terzo Settore, Fondazione Cariplo, Fondazione Cariparo, Fondazione Sicilia, Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna, ad oggi non sono disponibili dati certi sull’utilizzo dei patrimoni sottratti alla criminalità organizzata. E questo nonostante siano stati spesi ventuno milioni di euro destinati ai progetti di mappatura e monitoraggio dei beni sequestrati e confiscati alle mafie.
«La mancanza di informazioni attendibili per una materia così delicata è un evidente sintomo di una grave sottovalutazione, a livello istituzionale, della rilevanza del tema», ha sottolineato Carlo Borgomeo. Presidente della Fondazione CON IL SUD. «A vent’anni dall’approvazione della legge 109 del 1996, sul riuso sociale dei beni confiscati, il sistema va quindi rivisto sia per la dimensione del fenomeno sia perché, a consuntivo, i tentativi di manutenzione legislativa, amministrativa ed organizzativa hanno sortito effetti deludenti».
«I beni confiscati alla malavita sono già stati al centro di progetti realizzati dalle fondazioni di origine bancaria, tra cui Cariplo», ha aggiunto Giuseppe Guzzetti, presidente di Fondazione Cariplo. «Sono progetti che hanno un doppio valore, intrinsecamente più alto, perché vanno a conquistare luoghi in precedenza usati per attività illecite. Insieme alle organizzazioni non profit possiamo fare molto di più, con una normativa che consenta procedure più semplici: siamo comunque consapevoli del rigore e del controllo che deve essere garantito su questioni di questo genere».
La fondazione ha così presentato una proposta di revisione dell’attuale normativa per la gestione dei beni confiscati. Il documento, presentato ieri a Roma, nella sede dell’Acri, parte dall’analisi dello stato dell’arte della situazione attuale.
Secondo l’ANBSC (l'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata), in Italia sono oltre 23.500 gli immobili confiscati alle mafie. Oltre il 90% risulta concentrato in sei Regioni (Sicilia 43,51 per cento Campania 12,76, Calabria 12,00, Puglia 9,46, Lazio 7,02, Lombardia 6,88). «Eppure questi dati non sono da ritenersi del tutto corrispondenti alla realtà», si legge nel rapporto. «Una recente ricerca di Libera ha censito 525 soggetti, del terzo settore, che hanno valorizzato beni confiscati. Mentre secondo uno studio dell’Agenzia per la coesione territoriale la destinazione e la consegna dei beni non sempre comporta il loro effettivo utilizzo: Vi è mancanza di trasparenza, pubblicità e parità di trattamento nelle assegnazioni».
Tra le criticità del sistema attuale, lo studio segnala la norma che «mette in capo ai Comuni che ricevono i beni confiscati in assegnazione l'adempimento al risarcimento patrimoniale in caso di vittoria dei ricorrenti contro la confisca». Non basta: gli interventi di ristrutturazione di beni immobili confiscati finanziati dal PON sicurezza, hanno dato luogo in non poche circostanze a conclamati episodi di spreco: beni perfettamente ristrutturati, non gestiti e quindi degradati. Con crescenti rancori da parte della cittadinanza di quei territori.
Non va meglio sul fronte delle aziende confiscate: L’ANBSC ne ha individuate 3.585 ma, secondo gli ultimi dati disponibili, sono meno di 10 quelle date in gestione a cooperative di dipendenti, mentre 1.893 sono in carico all’Agenzia che non ha ancora deciso la destinazione. «Questo è dovuto a procedure di assegnazione spesso ridondanti, a formalismi eccessivi e a una gestione dei tempi assolutamente incompatibile con le prospettive di continuità o di ripresa dell’attività produttiva», scrivono i ricercatori. Mentre non esistono dati sui beni mobili confiscati registrati, come (automezzi, barche) e non (gioielli, opere d’arte.).
Per quanto invece riguarda le somme di denaro, l’attuale normativa prevede che debbano affluire al Fondo unico di giustizia, FUG. Ma anche in questo caso non mancano le difficoltà, a partire dall’acquisizione di dati certi sui flussi di risorse che affluiscono nel fondo quantificati comunque in circa 3,5 miliardi di euro. «Sintomo della complessa natura del Fondo, delle molteplici fonti che lo alimentano e delle ancora più numerose destinazioni possibili delle sue risorse», si legge nella ricerca.
Secondo Borgomeo, da questo scenario emerge chiaramente come una gestione più corretta dei beni e dei patrimoni confiscati non sia solo un potente strumento di contrasto alle mafie, ma un micidiale ed efficace strumento di scardinamento della cultura mafiosa: «Il risultato c’è e si deve vedere».
Ma cosa occorre fare affinché il sistema funzioni veramente? L’idea di fondo della proposta è sostituire l'Agenzia dei beni confiscati con un Ente pubblico economico con competenze e responsabilità più vaste. «Il personale sarà assunto con contratto di diritto privato al fine di garantire all’Ente il massimo livello di flessibilità. I componenti saranno scelti tra manager con esperienze industriali, immobiliari, finanziarie. Sarà inoltra prevista la presenza di un rappresentante dell’ANCI e delle Associazioni più impegnate nella lotta alle mafie. All'Ente dovrebbero confluire i fondi del Fug. Di tali risorse 10 milioni di euro sarebbero destinati alla costituzione del patrimonio dell’Ente stesso».
La proposta individua anche priorità e diverse soluzioni per la valorizzazione e utilizzazione delle differenti tipologie di beni confiscati, (beni immobili, imprese e beni mobili).
A questo punto, il nodo da sciogliere è legato al senso di responsabilità dei rappresentanti politici di saper cogliere le indicazioni di una proposta il cui obiettivo principale è quello di rimuovere le criticità di una legge che di fatto rallenta la possibilità di riutilizzo sociale dei beni confiscati alle mafie.
Il testo completo della riforma è pubblicato sul sito
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