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Isis: con Telegram vende le schiave sessuali

È un’applicazione di messaggistica istantanea molto simile a WhatsApp. È la più diffusa in medio oriente e l’Isis la utilizza per vendere le schiave sessuali. Le foto delle ragazze vengono inviate e ricevute sotto forma di codice criptato e solo le chiavi presenti nei due terminali possono decriptarli

di Anna Spena

Minorenni vergini. Bambine. Giovani donne. Le forze del califfato le hanno rapite in massa nell’agosto del 2014, quando l’Isis ha invaso i villaggi nel nord dell’Iraq per eliminare la minoranza curda. Si stima che siano circa 3mile le donne che il califfato ha fatto prigioniere per utilizzarle come schiave sessuali.

Ma la resistenza è comunque riuscita a farne scappare un numero cospicuo: si era arrivati a circa 134 persone liberate ogni mese. Ma nelle ultime sei settimane il numero è tragicamente sceso ad appena 39 salvataggi. Le donne soprattutto non le tengono solo per loro: le vendono. E per farlo utilizzano Telegram, il sistema di messaggistica istantanea – molto simile a WhatsApp – estremamente diffuso in Medio Oriente.

«Vergine. Bella. 12 anni. Il suo prezzo ha raggiunto i 12.500 dollari e sarà venduta presto», si legge in uno dei messaggi. «Registrano ogni schiava sotto il nome del “proprietario”, quindi anche in caso di fuga ogni posto di blocco è in grado di riconoscerle e sapere che si tratta di fuggitive. Attraverso i database sanno anche a chi riportarle», ha spiegato Mirza Danai, fondatrice di Luftbrucke Irak, un'organizzazione umanitaria impegnata in Iraq.

L’Association Press è riuscito ad ottenere le foto di 48 prigioniere, schiave che sono riuscite a scappare dall’Isis. È stata infatti l’agenzia di stampa a denunciare l’utilizzo del social network come strumento di compra vendita utilizzato dall’Isis. Markus Ra, portavoce di Telegram, ha ripetuto: «L'applicazione di messaggistica è estremamente popolare nel Medio Oriente. Sfortunatamente questo include anche diversi soggetti che ne utilizzano i servizi in maniera illegale».

Ma come fanno queste immagini a “viaggiare” indisturbate? Il sistema di crittografia utilizzato da Telegram (ma anche da WhatsApp) non consente nemmeno agli stessi sviluppatori di rintracciare e verificare i contenuti multimediali e i messaggio che vengono scambiati. Durante il "tragitto" passano sotto forma di codice criptato e solo le chiavi presenti nei due terminali possono decriptarli. L’intero processo di codifica e decodifica del codice non avviene su un server remoto ma direttamente all’interno dello smartphone.

Telegram quindi, non avrebbe modo di accedere ai dati scambiati attraverso la propria applicazione, nemmeno in presenza di un mandato delle autorità. In più, essendo open source, chiunque può analizzare il protocollo, trovare eventuali falle, chiuderle e renderlo ancora più sicuro.

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