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Se la nuova Idomeni si trova a Roma

300 profughi sono costretti a dormire all’aperto, in via Cupa, dove fino allo sgombero dello scorso inverno, aveva sede il Baobab, il principale centro di accoglienza per migranti in transito della capitale. Tra loro diverse donne incinte e bambini

di Ottavia Spaggiari

Sono trecento le persone costrette a dormire all’aperto, in via Cupa, dove fino allo sgombero dello scorso inverno aveva sede il Baobab, il principale centro di accoglienza per migranti in transito della capitale.

Questa volta non si tratta di un campo agricolo, ma di una via asfaltata. Questa volta a non essere in grado di gestire il flusso migratorio e far fronte all’immobilismo criminale dell’Europa non è la Grecia, ma la nostra Italia. Ricordano Idomeni, eppure sono state scattate molto più vicino a casa le fotografie dei migranti, costretti a dormire all’aperto in tende da campeggio e su materassi di fortuna. Una Idomeni più piccola forse, almeno per ora, perché i profughi rimasti bloccati al confine greco-macedone erano circa 12mila, mentre a Roma si contano alcune centinaia di persone, eppure la situazione non è meno grave, perché anche qui, le condizioni sono inaccettabili, così come lo sono l’incapacità e il silenzio delle istituzioni.

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“Sono tutti migranti in transito, persone che non vogliono chiedere asilo qui in Italia e che si fermano solo per qualche notte. La maggior parte sono eritrei, sudanesi ed etiopi di etnia oromo, vi sono anche diversi bambini e donne incinta.” Spiega Roberto Viviani, volontario dell’associazione Baobab Experience. “Fino ad Aprile 2015, il Baobab era gestito da una cooperativa e separato in due aree, una dedicata all’accoglienza e un centro culturale, dove venivano organizzati concerti e conferenze. Dopo lo scandalo di Mafia Capitale, (e proprio il Baobab è stato il luogo fisico in cui si svolse la famosa cena nel 2010 Buzzi, Casamonica e Alemanno), l’amministrazione comunale aveva tagliato i fondi, così, nonostante la cooperativa non fosse coinvolta nello scandalo, la collaborazione è stata interrotta e a maggio dell’anno scorso l’intera gestione dello spazio è passata letteralmente in mano a decine di volontari.”

Proprio nel momento di massima emergenza, dopo lo sgombero dell’insediamento informale di Ponte Mammolo, abitato da circa 400 persone, prevalentemente rifugiati e richiedenti asilo, e quando gli sbarchi continuavano e Germania e Austria avevano sospeso Shenghen in vista del G7, tenutosi a Elmau lo scorso giugno. “Si era creato un collo di bottiglia alla stazione Tiburtina. Abbiamo avuto anche 700 persone, in un luogo che poteva offrire 210 posti letto. Un’emergenza a cui ha risposto tutta la cittadinanza. Quando ho iniziato a fare volontariato qui, l’anno scorso, non conoscevo nessuno, poi ho capito che nessuno si conosceva.” Continua Viviani. “Per aiutare nell’emergenza sono arrivate persone da contesti diversissimi. Io che faccio l’ingegnere gestionale, volevo partire per andare a lavorare in Africa, invece l’Africa mi è arrivata sotto casa.”

Io che faccio l’ingegnere gestionale, volevo partire per andare a lavorare in Africa, invece l’Africa mi è arrivata sotto casa"

Roberto Viviani

Eppure, nonostante l’impegno di decine e decine di volontari, e di diverse ONG, lo scorso dicembre il centro è stato sgomberato.

“Lo sgombero di dicembre è avvenuto senza grossi disordini, perché c’erano poche persone, ma l’emergenza di questi giorni era assolutamente prevedibile e avevamo chiesto una soluzione stabile, proprio perché sapevamo che, con la bella stagione, sarebbero aumentati gli arrivi, ma non siamo stati ascoltati.” Almeno non ancora, adesso spetterà alla nuova sindaca di Roma, Virginia Raggi e alla giunta che dovrebbe essere nominata a brevissimo, gestire la nuova emergenza.

Ad essere stato identificato dai volontari come nuovo possibile centro in cui riproporre l’esperienza del Baobab, l’ex centro ittiogenico di Roma. “Abbiamo preso accordi con la polizia locale per chiudere la strada, almeno di notte e abbiamo distribuito alle persone materassini, coperte termiche e piantato 14 tende. Questa mattina appena sono arrivato qui, ho svegliato le persone che dormivano ancora, perché bisognava riaprire la strada. Non è assolutamente dignitoso.” Racconta Viviani. Qui in via Cupa, oltre ai trenta volontari che continuano ancora oggi a prestare servizio, servendo cibo, assistenza e corsi di italiano e tedesco e finanziando la propria attività grazie al contributo di privati e ONG, anche altre organizzazioni, tra cui Croce rossa, Medici per i Diritti Umani, Medu e, per offrire assistenza legale anche il Consiglio Italiano per i Rifugiati e UNHCR. “Quello che sta accadendo in via Cupa non fa che dimostrare la politica fallimentare degli hotspot. Sappiamo anche da grandi ONG presenti in Sicilia che negli sbarchi delle ultime settimane, il 60% delle persone non sono state identificate, ciò significa che il numero dei migranti in transito è destinato a salire ma a Roma vi sono solo centri di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati, l’unico centro che ospita chi è in transito è quello della Croce Rossa. Non è abbastanza.” Continua Viviani. E sembra che il centro non si voglia istituire proprio perché si tratta di persone in transito e quindi con uno status che, in base al trattato di Dublino, che costringe i migranti a chiedere asilo nel primo Paese di arrivo, in questo caso l’Italia, non è riconosciuto dall’Unione Europea.

“L’alternativa per chi non vuole restare in Italia è fare domanda per la rilocalizzazione in un altro Paese europeo,” una strada praticamente impossibile da percorrere, perché, come avevamo raccontato qui, i pochissimi posti messi a disposizione dagli altri Paesi sono già tutti esauriti. “Si tratta di un cortocircuito giuridico, queste persone sono in un limbo. Chiediamo una soluzione condivisa tra la prefettura, il comune e la regione. Siamo a un punto di rottura, non possiamo continuare così”.

Foto di copertina: ALBERTO PIZZOLI/AFP/Getty Images

Gallery: Roberto Viviani

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