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Se due campioni fanno scuola
In un istituto della periferia di Milano Paolo Maldini e Leonardo hanno incontrato oltre 300 ragazzi delle scuole medie, per iniziativa di Fondazione Milan. Si è parlato di vittorie, di sconfitte, di gioco di squadra e di scommesse educative.
“Pettinatevi bene” raccomanda Leonardo prima del selfie finale con tutti gli oltre 300 ragazzi. Siamo al Centro Pavesi. Sugli spalti gli allievi delle scuole medie dell’Istituto comprensivo Pareto di Milano. Per oltre un’ora hanno ascoltato due campioni come Leonardo e Paolo Maldini a parlare di vita, di calcio, di nuove sfide. Un incontro organizzato da Fondazione Milan e sostenuto con entusiasmo dall’attivissimo preside della Pareto, Angelo Lucio Rossi.
Un incontro senza nessuna formalità, a ruota libera, dove non si è parlato delle solite cose che riguardano il calcio, ma di esperienze e di valori. Davanti al microfono non c’erano solo due campioni ma anche due genitori: uno, Leonardo, con cinque figli e Paolo Maldini con due. E anche due figli. Paolo ha raccontato di quanto sia debitore del padre Cesare, che lo ha guidato ma lasciato libero. Leonardo racconta di sua mamma brasiliana che amava così tanto l’Italia da dargli questo nome tanto bello ma anche impegnativo. Si parla di sconfitte e di errori, perché la storia dei campioni non è fatta solo di momento di gloria. Maldini racconta degli errori fatti sul campo ai suoi esordi e della difficoltà a metabolizzarli. «Mi chiudevo in camera e non parlavo con nessuno. Continuavo a pensare a quello che avevo sbagliato. Poi ho imparato a convivere con gli errori. Ho capito che gli errori fanno crescere, perché si impara a non ripeterli e si capisce che comunque non siamo perfetti».
Si dice che il calcio abbia un valor educativo, ma a volte a leggere le cronache nasce qualche dubbio. È Leonardo a rispondere. Racconta di quanto sia importante per un ragazzo capire le regole. «Si gioca su un campo, che ha dei limiti, e bisogna stare dentro quei limiti. L’idea di campo è un’idea importante, anche dal punto di vista formativo. Poi ci sono le regole. E c’è il valore del sentirsi dentro una squadra e quindi l’individualità cresce, anche dal punto di vista sportivo, proprio nel rapporto con le altre individualità».
Una squadra di calcio è anche un melting pot di culture, lingue nazionalità diverse. In un certo senso è un laboratorio sociale. Maldini conferma, E ricorda quale arricchimento sia arrivato da questa diversità sui campi si allenamento. «Nel calcio è fondamentale la convivenza di culture differenti. Bisogna comunicare, farsi sentire e capire. Spesso si ha paura del diverso. Ricordo che i primi compagni stranieri erano inglesi e mi hanno insegnato molto, ad esempio la cultura sportiva. Poi ho conosciuto gli olandesi, che mi hanno trasmesso la loro apertura mentale. Ma in generale da tutti i compagni provenienti da altri Paesi ho imparato qualcosa ed è anche grazie a loro che sono cresciuto come uomo».
Leonardo ricorda i suoi inizi in Europa, quando è arrivato a giocare e aveva solo 20 anni. «Il fatto di essere brasiliano mi ha agevolato. Abbiamo una simpatia istintiva e poi portavamo un calcio che affascinava. Quando sono arrivato c’era la regola di solo due stranieri per squadra. Poi quando sono state tolte le barriere in effetti negli spogliatoi potevano crearsi problemi, perché a volte è difficile convivere tra persone con storie e origini tanto diverse. Ma con il tempo ho imparato una cosa che ripeto sempre: bisogna aprirsi, non tener dentro le cose. Se ci si racconta, tante difficoltà si dissolvono. Questo vale nel calcio ma anche nella vita di tutti».
Un ragazzo chiede cosa sia per loro impegno sociale. È sempre Leonardo a prendere la parola, raccontando la storia di Fondazione Milan. «Il calcio ha grandi potenzialità di costruire cose positive. Me sono accorto quando come Fondazione ha dato vita ad un centro di unità intensiva a Nazareth dove ci sono tante discussioni a livello religioso e storico. Questa struttura è aperta a tutte le religioni e con un marchio come quello del Milan si riescono a superare le divergenze, che invece per altre istituzioni sarebbero insuperabili».
Un’altra ragazza chiede cosa significhi essere campione. La risposta di Leonardo è una bella sintesi di questo incontro: «Per me significa ammetter5e che c’è sempre qualcuno più campione di te»
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