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Le denunce alla Corte che non c’

Amnesty porta al giudice le prove contro la dittatura in Birmania, Amani si schiera per il popolo Nouba in Sudan. Mentre la comunità curda "inchioda" Saddam

di Redazione

Tre storie di conflitto, diverse fra loro. Tre casi di gravissime violazioni dei più elementari diritti umani: il pane per i denti, per ora da latte, della futura Corte internazionale. Li hanno presentati, in una simulazione di processo, i rappresentanti di alcune ong italiane. Si è trattato di giudicare l’operato della dittatura militare in Birmania, il massacro etnico apportato dal governo sudanese nei confronti del popolo dei Nouba e, infine, le persecuzioni del governo iracheno nei confronti del popolo senza nazione dei curdi.

I diritti negati in Birmania
Nell’estate 1988, in Birmania, decine di migliaia di persone protestarono nella piazze contro 26 anni di governo militare. Ne uscì vincitore l’esercito, che fece in tutto il Paese centinaia di morti. I militari insediarono allora il Consiglio di Stato per la restaurazione della legge e dell’ordine, imponendo la legge marziale. Alle successive elezioni politiche vincono le opposizioni, ma gli eletti, fra cui il leader Aung San Suu Kyi, invece del seggio parlamentare ottengono solo gli arresti. Il 15 novembre 1997 lo Slorc si tramuta nel Consiglio di Stato per la pace e lo sviluppo, ma la musica non cambia. Anche nel Rapporto 1999 di Amnesty International il governo birmano è descritto come un comminatore di arresti e detenzioni arbitrarie, torture, processi iniqui e di massacranti lavori forzati, oltre che persecutore spietato delle minoranze etniche. La Repubblica di Myanmar non ha a tutt’oggi sottoscritto la Convenzione internazionale contro la tortura, i Patti internazionali sui Diritti civili e politici e sui Diritti economici sociali e culturali.

Pulizia etnica in Sudan
Il popolo Nouba, a maggioranza musulmana, conta quasi due milioni di persone che, da secoli, vivono in un contesto di tolleranza religiosa e convivenza pacifica con altre etnie. Una “sperimentazione” che si scontra con il governo di Khartoum, in cerca di affermare il proprio potere attraverso l’imposizione della legge islamica. Si è quindi scatenata una sanguinosa repressione contro i Nouba, vittime di una serie di crimini commessi dall’esercito governativo. Al tristissimo e lungo elenco di omicidi, torture e stupri etnici susseguitisi nel corso degli anni si aggiunge, nel 1998, la distruzione di due interi villaggi: da allora sono almeno 10 mila le persone che vagano, sfollate, nelle aree circostanti in condizioni disumane e impossibilitate a fare ritorno nel proprio territorio. L’associazione italiana Amani, componente di una rete internazionale di ong che lottano per la difesa dei Nouba, invoca da tempo l’apertura di un corridoio umanitario per raggiungere quella parte della popolazione miratamente isolata dal governo sudanese.

Bombe chimiche sui curdi
All’inizio degli anni Settanta il regime iracheno inizia la pulizia etnica contro il popolo curdo. Mezzo milione di curdi viene deportato dalle montagne del Kurdistan verso le zone desertiche dell’Iraq. Fino agli anni Ottanta, secondo le organizzazioni internazionali, oltre 270 mila curdi vengono privati delle loro proprietà, dei documenti ed espulsi verso l’Iran. Con la guerra Iran-Iraq (1980-88), l’accanimento delle autorità irachene nei confronti dei curdi è al culmine, ben rappresentato dalle esecuzioni dell’operazione Anfal: ordinate dal marzo 1987 all’aprile 1989 dal generale Ali Hassan al-Magid nel Kurdistan iracheno, portarono all’uccisione di 5 mila persone e al ferimento di altre 10 mila, colpite anche con bombe chimiche.

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