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Da Brexit al Bangladesh. L’Unione Europea deve tornare ad educare

Secondo Manlio D’Agostino, professore di Criminalità Economica, esperto e analista di intelligence finanziaria, c’è un filo rosso che unisce il terrorismo alla crisi dell’Europa: «È tutta regole e burocrazia. Ci manca un collante, un modello culturale che sia aggregante»

di Lorenzo Maria Alvaro

Gli attentati ormai sono un consuetudine. Ne giro di pochi giorni dall'ultimo gravissimo attentato a Istanbul i terroristi tornano a colpire in Bangladesh, dove già era stato ucciso il cooperante Cesare Tavella. Anche questa volta il tributo italiano è stato altissimo. Nel contempo l'Unione Europea dopo Brexit e il caso del ballottaggio austriaco si trova nel mezzo di una crisi profonda che va dalla sicurezza e arriva fino all'immigrazione. Tra i due fenomeni, secondo Manlio D'agostino, professore di Criminalità Economica, esperto e analista di intelligence finanziaria intervistato da Vita.it, c'è un fil rouge.



Dopo Bruxelles e Parigi sono arrivate Istanbul e Dacca, di nuovo. Nell’ultima intervista per Vita.it disse che Schengen era a rischio. Oggi a che punto siamo?
C’è il problema oggettivo di non aver ancora preso in mano il fenomeno culturale. Sento troppo spesso parlare del fatto che questi attentatori si lasciano convincere da cose che non esistono, tipo la jihad. L’idea che l’Islam porti ad uccidere non è vera. È una questione di interpretazione del Corano. Il tema dunque non è religioso. Il terrorismo è sì spinto sull’onda emotivo religiosa ma per motivi diversi, in particolare economici. Per lo sfruttamento delle materie prima, tra cui il petrolio, di certi Paesi. Bisogna avere consapevolezza di questo. Da cattolico mi rendo conto che la disgregazione dei valori, anche cattolici, ha portato allo sgretolamento di una parte sana che era argine a tutto questo. Una società senza valori e senza punti fermi, in cui vale tutto e il suo contrario porta a non avere più il polso e il controllo della situazione.

Si riferisce al fatto che gli attentatori sono per lo più figli borghesi del ceto medio, ricchi e istruiti?
Si sta dimostrando che non sono poveretti o ignoranti. Sono persone che vengono trascinate all’interno di certe dinamiche ma che sono istruiti e spesso ricchi. La domanda è chiedersi come sono stati educati? Sono ragazzi lasciati allo sbando tra la propria cultura e quella occidentale. L’Unione su questo non può fare nulla perché è tutta regole e burocrazia. Non ha modelli culturali. Non ha un collante. Gli Usa hanno valori aggreganti, come la bandiera. Quando sono stato in Turchia ho percepito un amore per la propria bandiera e un orgoglio unici. Ha una bellissima storia quella bandiera: il rosso è il sangue versato in una famosa strage, su cui si riflettono una stella e una mezzaluna che c’erano in cielo quella notte. Non è un simbolo dell’Islam o dei musulmani, è il simbolo dell’Impero Ottomano. Se andiamo in giro a chiedere cosa significa la nostra bandiera o il nostro inno scopriremo che qui a nessuno interessa.

Ma tutto questo cosa c’entra con la Brexit?
Devo fare un preambolo

Prego…
Sulla Brexit a mio avviso si troverà una soluzione. Non credo che la Gran Bretagna abbia interesse ad uscire in modo definitivo. È un voto che verrà più che altro usato per rivedere gli accordi. E che verrà cavalcato da tanti altri Paesi. Schengen quindi verrà messo in discussione. Il punto è vedere chi rimarrà con il cerino in mano. Cioè chi deciderà di mantenere Schengen come è oggi, con piena libertà di movimento.

Quindi l’Europa è destinata a cambiare. In meglio?
L’Europa cambierà e non penso che sarà un miglioramento. O, mi ripeto, ci sarà un forte impulso valoriale e si chiuderà con questa parentesi finanziaria e burocratica, oppure i tanti sospirati miglioramenti non potranno esserci. Non vedo ad esempio programmi di integrazione, salvo quelli rivolti ai migranti. Non c’è attenzione per chi vive l’Europa oggi.

È questo il filo rosso? Gli europei non si sentono tali, perché nessuno gli insegna cosa significa?
Gli inglesi si sono evidentemente ribellati a qualcosa che non capivano più, che percepivano come lontano e punitivo. Ma anche i Foreign Fighters, di qualunque provenienza, sono sostanzialmente immersi nella protesta. La loro volontà è di rigettare certe cose che non ritengono giuste. Ma gli manca una visione globale. Una visione d’insieme che l’Europa non è in grado di fornire. Una visione anche di ciò che di buono c’è nell’Ue e nell’Occidente.

Si parla di controllare i social media e la rete per cercare, con l’aiuto delle grandi aziende della Silicon Valley, di boicottare e censurare la propaganda jihadista. È possibile?
Il modello educativo non passa più dai libri. Ormai non abbiamo più la possibilità di bloccare cose i cui effetti possono essere non positivi. Per cui dovremo lavorare su questo fronte. Ma la quesitone non può fermarsi ad un rapporto tra i governi e le società americane.

In che senso?
Qual è il valore aggiunto dal punto di vista dell’informazione di far vedere le immagini degli attentati? Quando si fanno vedere le immagini di attacchi in Bangladesh, come di qualunque altro attentato, chi guarda pensa che tutto il Paese in questione sia a ferro e fuoco. E questo è l’obbiettivo del terrorismo. Un video basta per distruggere l’economia di un Paese. Quindi è vero che bisogna presidiare il web. Ma non basta, anche la stampa ha delle responsabilità e deve cominciare ad assumersele.

Non è un discorso che lede la libertà di stampa?
I giornalisti possono educare. Bene o male. Il sensazionalismo, forma più usata oggi nell’informazione italiana, è un modo di educare sbagliato. E genera mostri. Serve senso di responsabilità da parte di tutti. Serve un grande patto etico. Oggi più che mai.

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