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Spazzacorrotti: le conseguenze (irragionevoli) per il Terzo settore

"Nella sua attuale versione, l’articolo 5, comma 4, estende enormemente rispetto al passato, sia da un punto di vista soggettivo che oggettivo, l’ambito di equiparazione degli enti privati ai partiti politici per ciò che riguarda la materia degli obblighi di trasparenza finalizzati alla prevenzione di fenomeni corruttivi". L'analisi del nostro esperto

di Antonio Fici

Spenti da poco i riflettori sugli obblighi di trasparenza di cui all’articolo 1, commi 125-129, della legge n. 124/2017 – che ha imposto ad associazioni, fondazioni ed imprese di rendere pubbliche (per la prima volta entro il 28 febbraio del 2019) le entrate (di qualsiasi genere) provenienti da pubbliche amministrazioni (e da altri enti a queste ultime riconducibili) nel precedente anno solare – ecco che un altro, successivo, provvedimento legislativo sembra gravare gli enti del Terzo settore di ulteriori obblighi di pubblicità e trasparenza. Si tratta del nuovo articolo 5, comma 4, del decreto legge 28 dicembre 2013, n. 149, sul finanziamento dei partiti politici, così come recentemente modificato dall’articolo 1, comma 2, della legge 9 gennaio 2019, n. 3 (c.d. legge “spazzacorrotti”).

Nella sua attuale versione, l’articolo 5, comma 4, estende enormemente rispetto al passato, sia da un punto di vista soggettivo che oggettivo, l’ambito di equiparazione degli enti privati ai partiti politici per ciò che riguarda la materia degli obblighi di trasparenza finalizzati alla prevenzione di fenomeni corruttivi. L’estensione è, come potremo presto renderci conto, talmente ampia da apparire indiscriminata e dunque irragionevole sotto il profilo costituzionale. Sempre sotto il profilo costituzionale, essa sembra violare un numero così elevato di regole e principi (dal diritto di associazione a quello di manifestare liberamente il proprio pensiero e le proprie opinioni politiche, fino ad arrivare al principio di sussidiarietà orizzontale e alla possibilità di adempiere i doveri inderogabili di solidarietà) da poter difficilmente superare l’eventuale vaglio del giudice delle leggi.

Ancora una volta, peraltro, così come è avvenuto per la legge 124/2017, la disciplina in questione non tiene conto dello speciale regime di trasparenza già in vigore per gli enti del terzo settore dal 2017 per effetto della “grande” riforma che li ha riguardati. Ciò a testimonianza della scarsa capacità del legislatore di “tenere sotto controllo” la sua (sempre più) alluvionale produzione legislativa e di coordinare i diversi testi in chiave sistematica, ma anche, forse, della scarsa prontezza di riflessi delle associazioni rappresentative del terzo settore, le quali, rispetto a provvedimenti legislativi pregiudizievoli per gli enti da loro rappresentati, sembrano manifestare sicuramente un’ottima capacità di reazione ex post (come testimoniato dalla recente vicenda del raddoppio dell’IRES ovvero della “tassa sulla bontà”), ma solo una limitata capacità di incidenza ex ante.

Cosa dice dunque il nuovo articolo 5, comma 4, d.l. 149/2013? Quali obblighi di trasparenza impone? Quali enti sono tenuti ad osservarli?

Per comodità del lettore lo riproduciamo qui sotto letteralmente:

“Ai sensi e per gli effetti del presente articolo, sono equiparate ai partiti e movimenti politici le fondazioni, le associazioni e i comitati la composizione dei cui organi direttivi sia determinata in tutto o in parte da deliberazioni di partiti o movimenti politici ovvero i cui organi direttivi siano composti in tutto o in parte da membri di organi di partiti o movimenti politici ovvero persone che siano o siano state, nei dieci anni precedenti, membri del Parlamento nazionale o europeo o di assemblee elettive regionali o locali ovvero che ricoprano o abbiano ricoperto, nei dieci anni precedenti, incarichi di governo al livello nazionale, regionale o locale ovvero incarichi istituzionali per esservi state elette o nominate in virtù della loro appartenenza a partiti o movimenti politici, nonché le fondazioni e le associazioni che eroghino somme a titolo di liberalità o contribuiscano in misura pari o superiore a euro 5.000 l’anno al finanziamento di iniziative o servizi a titolo gratuito in favore di partiti, movimenti politici o loro articolazioni interne, di membri di organi di partiti o movimenti politici o di persone che ricoprono incarichi istituzionali”.


Ancora una volta, peraltro, così come è avvenuto per la legge 124/2017, la disciplina in questione non tiene conto dello speciale regime di trasparenza già in vigore per gli enti del terzo settore dal 2017

Antonio Fici

La norma, dunque, “equipara” ai partiti e movimenti politici una vasta congerie di enti privati, con l’effetto di estendere ai secondi gli obblighi di trasparenza imposti ai primi dai precedenti commi del medesimo articolo. Il tutto si può così sintetizzare.

1) Cominciamo innanzitutto a capire quali enti sono esattamente equiparati, relativamente ai suddetti obblighi di trasparenza, ai partiti e movimenti politici. Si tratta precisamente di enti ricadenti in una delle seguenti categorie:

a) fondazioni, associazioni e comitati la composizione dei cui organi direttivi sia determinata in tutto o in parte da deliberazioni di partiti o movimenti politici;

b) fondazioni, associazioni e comitati i cui organi direttivi siano composti in tutto o in parte da:

– membri di organi di partiti o movimenti politici, ovvero

– persone che siano o siano state, nei dieci anni precedenti, membri del Parlamento nazionale o europeo o di assemblee elettive regionali o locali, ovvero

– persone che ricoprano o abbiano ricoperto, nei dieci anni precedenti, incarichi di governo al livello nazionale, regionale o locale ovvero incarichi istituzionali per esservi state elette o nominate in virtù della loro appartenenza a partiti o movimenti politici;

c) fondazioni e associazioni che eroghino somme a titolo di liberalità o contribuiscano in misura pari o superiore a euro 5.000 l’anno al finanziamento di iniziative o servizi a titolo gratuito in favore di partiti, movimenti politici o loro articolazioni interne, di membri di organi di partiti o movimenti politici o di persone che ricoprono incarichi istituzionali.

Invero, la categoria più sorprendente tra quelle sopra menzionate è sicuramente quella di cui alla lettera b), sia perché la formula “in tutto o in parte” è idonea a comprendere tutti gli enti in cui anche solo un componente del consiglio direttivo (magari tra una moltitudine di altri componenti, considerando che gli enti del terzo settore hanno sovente consigli direttivi molto ampi) abbia o abbia avuto a che fare (negli ultimi dieci anni) con la politica in senso lato, comprensiva di attività di governo e di amministrazione; sia perché include nel suo ambito ogni associazione, fondazione o comitato in maniera indifferenziata ed indiscriminata, a prescindere, cioè, da quale sia lo scopo ed oggetto sociale, l’ambito di attività e il settore di intervento, le dimensioni, ecc., come se ogni ente “contaminato” dal contatto con il politico mettesse a rischio gli obiettivi di anticorruzione perseguiti dal legislatore attraverso la normativa in oggetto; sia infine perché estende il suo raggio di copertura ai politici di ogni genere e sorta, anche quelli la cui dimensione è “locale” e dunque la capacità di influenza spesso abbastanza circoscritta, senza tenere conto, peraltro, del luogo in cui ha sede legale l’ente di cui si tratta, rendendo così gli obblighi di trasparenza applicabili, ad esempio, ad una piccola ODV con sede in Lombardia, del cui consiglio direttivo sia componente una persona che in passato sia stata consigliere comunale in un piccolo comune siciliano.

Di strana decifrazione è, poi, la formula “persone che ricoprano o abbiano ricoperto, nei dieci anni precedenti, … incarichi istituzionali per esservi state elette o nominate in virtù della loro appartenenza a partiti o movimenti politici”: essa, infatti, si presta ad interpretazioni più o meno estese. Non crediamo, tuttavia, che possa ad esempio ricomprendere l’ipotesi della persona designata o nominata da un sindaco alla carica di amministratore di una fondazione (attiva nel campo culturale, museale, sanitario, ecc.), poiché non è di per sé detto che ricorra in questo caso la fattispecie della “appartenenza” del designato o nominato ad un partito o movimento politico e anche quando quest’ultima effettivamente sussista, non è di per sé detto che sia stata questa appartenenza a determinare la designazione o la nomina.

2) Esaminiamo, in secondo luogo, l’oggetto delle norme di trasparenza in questione. Qui la situazione si fa ancora più complessa, poiché la tecnica legislativa impiegata, quella della “equiparazione ai sensi e per gli effetti dell’articolo 4”, pone un problema di grande rilevanza, ovverosia se gli obblighi di trasparenza debbano applicarsi esattamente nella stessa maniera in cui si applicano ai partiti politici oppure debbano adattarsi ad entità che in realtà non sono partiti politici. Cerchiamo di spiegare cosa significhi ed implichi questa alternativa, distinguendo tra i singoli obblighi di trasparenza.

a) Quanto al primo obbligo (di cui all’art. 5, comma 1, d.l. 149/2013) – cioè assicurare “la trasparenza e l’accesso alle informazioni relative al proprio assetto statutario, agli organi associativi, al funzionamento interno e ai bilanci, compresi i rendiconti, anche mediante la realizzazione di un sito internet che rispetti i principi di elevata accessibilità, anche da parte delle persone disabili, di completezza di informazione, di chiarezza di linguaggio, di affidabilità, di semplicità, di consultazione, di qualità, di omogeneità e di interoperabilità” – non si pongono particolari problemi.

b) Enormi problemi si pongono invece con riguardo al secondo obbligo (di cui all’art. 5, comma 2, d.l. 149/2013), che per i partiti politici è letteralmente il seguente:

“Entro il 15 luglio di ciascun anno, nei siti internet dei partiti politici sono pubblicati gli statuti dei partiti medesimi, dopo il controllo di conformità di cui all'articolo 4, comma 2, del presente decreto, nonché, dopo il controllo di regolarità e conformità di cui all’articolo 9, comma 4, della legge 6 luglio 2012, n. 96, il rendiconto di esercizio corredato della relazione sulla gestione e della nota integrativa, la relazione del revisore o della società di revisione, ove prevista, nonché il verbale di approvazione del rendiconto di esercizio da parte del competente organo del partito politico. Delle medesime pubblicazioni è resa comunicazione ai Presidenti delle Camere e data evidenza nel sito internet ufficiale del Parlamento italiano. Nel medesimo sito internet sono altresì pubblicati, ai sensi del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, i dati relativi alla situazione patrimoniale e di reddito dei titolari di cariche di Governo e dei membri del Parlamento. Ai fini di tale pubblicazione, i membri del Parlamento e i titolari di cariche di Governo comunicano la propria situazione patrimoniale e di reddito nelle forme e nei termini di cui alla legge 5 luglio 1982, n. 441”.

Se tale obbligo si applicasse ad associazioni, fondazioni e comitati “equiparati” nello stesso modo in cui si applica ai partiti politici, allora gli statuti degli enti “equiparati” e i loro bilanci dovrebbe superare i medesimi controlli degli statuti e dei bilanci dei partiti politici. Il che sarebbe davvero troppo, soprattutto alla luce del fatto che, come osservato, gli enti “equiparati” non sono soltanto le associazioni e fondazioni “politiche” in senso stretto o quelle che finanziano i partiti e le loro attività (cioè quelle di cui alle lettere a) e c) del precedente elenco sub 1), ma anche tutte le associazioni che hanno latamente a che fare con politici o ex-politici (cioè quelle di cui alla lettera b) del precedente elenco sub 1).

Ancor prima della logica giuridica è perciò il buon senso a suggerire che l’obbligo di trasparenza di cui all’art. 5, comma 2, d.l. 149/2013, riguardi statuti e bilanci redatti (non già secondo le regole applicabili ai partiti politici, bensì) secondo la normativa applicabile ad associazioni e fondazioni (se del terzo settore, secondo le specifiche regole adesso in vigore per questi ultimi), anche se, a dire il vero, un’interpretazione più severa sarebbe opportuna (e forse anche più logica) per le associazioni e fondazioni “politiche” in senso stretto, interpretazione che però non è certo favorita dall’avere il legislatore accomunato situazioni così diverse in un’unica norma.

3) Non è infine chiaro a quali sanzioni siano sottoposti gli enti “equiparati” che abbiano violato gli obblighi di trasparenza, ed in particolare se la “equiparazione” ai partiti, oltre che per la sottoposizione agli obblighi, valga anche per le sanzioni, ciò che peraltro non eviterebbe questioni controverse, posto che non si comprenderebbe, ad esempio, a cosa possa equivalere, con riguardo agli enti “equiparati, la sanzione amministrativa pecuniaria della decurtazione di un terzo delle somme provenienti dalla destinazione del due per mille dell’IRPEF, che è la sanzione prevista dall’articolo 8, comma 3, d.l. 149/2013, a carico dei partiti politici che violano l’obbligo di trasparenza di cui all’art. 5, comma 2.

La normativa sin qui brevemente esposta e commentata potrà senz’altro avere ricadute significative e gravose anche sugli enti del terzo settore (oltre che su tutte le associazioni e fondazioni in generale).

Gli enti del terzo settore, infatti, sono costituiti in forma di associazione o di fondazione (art. 4, comma 1, d.lgs. 117/2017), sicché possono benissimo rientrare tra gli enti “equiparati” ai partiti politici ai sensi dell’art. 5, comma 4, d.l. 149/2013. Gli unici enti del terzo settore esclusi sarebbero invece le società imprese sociali (incluse le cooperative sociali). Se, da un lato, le associazioni e fondazioni “politiche” in senso stretto, cioè quelle la composizione dei cui organi direttivi sia determinata in tutto o in parte da deliberazioni di partiti o movimenti politici, non potrebbero mai qualificarsi come enti del terzo settore (poiché l’indipendenza dai partiti politici è requisito di qualificazione degli enti del terzo settore ai sensi dell’art. 4, comma 2, d.lgs. 117/2017), dall’altro lato non è escluso che anche gli enti del terzo settore possano avere tra i propri amministratori politici o ex-politici. Tali enti sarebbero dunque sottoposti ai gravosi obblighi di trasparenza di cui al d.l. 149/2013; gravosi soprattutto se non interpretati secondo buon senso così come si è suggerito in questo scritto. Tali obblighi si aggiungerebbero a quelli già imposti agli enti del terzo settore, oltre che dalla propria normativa specifica (il Codice del terzo settore), anche da altre normative (come la legge 124/2017 o quella relativa al cinque per mille). Insomma, le misure imposte dalla trasparenza sottrarrebbero agli enti del terzo settore le risorse necessarie a realizzare le proprie attività di interesse generale. La missione sarebbe tradita, così come gli obiettivi legislativi sottesi all’istituzione, alla promozione e al finanziamento pubblico del terzo settore.

Occorre dunque che il legislatore faccia presto un passo indietro. Appare opportuno e necessario che abroghi o modifichi la disposizione commentata o, quanto meno, che escluda espressamente gli enti del terzo settore – già ampiamente trasparenti in virtù della loro normativa specifica – dal suo ambito di applicazione. Infatti, gli oneri che appesantiscono l’azione degli enti del terzo settore non sono solo quelli fiscali, ma anche quelli gestionali ed organizzativi che non trovano alcuna giustificazione. Tali oneri equivalgono a “tasse sulla bontà” che questo Paese, la cui coesione sociale nonché economica è sempre più dipendente dal Terzo settore, non può oggi permettersi.


*professore di diritto privato presso l'università del Molise e avvocato esperto di Terzo settore ed enti non profit

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