Cultura
Tra Messico e Parigi le relazioni di Fuentes
Recensione del libro "Le relazioni lontane" di Carlos Fuentes (di Domenico Stolfi)
di Redazione
Gadda si pronunciò con graffiante determinazione contro il mito di un io centrale e coordinatore, che bisognava far «dileguare verso i fuochi misteriosi del sogno». Per il gran lombardo, l?io giudicante non è che un «idolo tarmato», un «bambolotto della credulità tolemaica». Se su questi presupposti neobarocchi Gadda ha costruito almeno due capolavori, la maggioranza dei corifei dell?illusionismo postmoderno ha prodotto invece niente più che cerebrali giochi letterari. Carlos Fuentes, pur facendo parte di questa schiera, con la frantumazione dell?io e la conseguente esplosione della realtà in mille maschere, non ci gioca, ma ne fa sortire un senso del mistero quasi religioso. Nei suoi romanzi non si tratta di perdersi in estasi labirintiche borgesiane o in puzzle calviniani, quanto d?attraversare, con timore e tremore, una realtà contigua ed enigmatica, ma presente e concreta. In Le relazioni lontane (Il Saggiatore, 15,50 euro), ultimo romanzo di Fuentes tradotto in Italia, i personaggi sono sballottati da un Messico crudo e violento a una Parigi raggelata in una rarefazione metafisica, fluttuando nel vortice di una temporalità che ha spezzato ogni criterio cronologico. Ma l?anima barocca che cadenza ogni pagina, nelle sue euforie e nei suoi inabissamenti, nei suoi sogni e nelle sue vertigini, non si limita ad azzerare la realtà in un proliferante inganno prospettico, ma fa sentire il dolore di chi ha ancora la consapevolezza che dietro la maschera rimane un volto.
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