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Gino Strada ora vado in Palestina

Da Kabul Daniella Binello. Parla il chirurgo che sta aprendo un nuovo ospedale nella capitale afghana Ma intanto pensa a un altro fronte. E c’è chi lo candida al nobel

di Redazione

Kabul, aprile. Un rattoppatore di ferite. Si definisce così Gino Strada, il chirurgo che, nel 1994, assieme ad altri, ha fondato a Milano Emergency, l?organizzazione umanitaria non profit che, oltre ad alcuni ospedali nel Kurdistan iracheno, in Cambogia e Sierra Leone, ha aperto nel 2001 il suo secondo ospedale in Afghanistan. Uno è a Kabul, dove ai primi d?aprile abbiamo intervistato Strada (neocandidato al Nobel), e l?altro, dal 1999, ad Anabah, nel Panjsher. Strada sta verificando la possibilità di trasferirsi con un?équipe medico-chirurgica, a Ramallah, in Medio Oriente. «Per il momento non ci sono le condizioni, purtroppo negli ospedali, ora, arrivano più morti che feriti. Ma non lasceremo cadere l?invito dell?Anp. Prossimamente, dopo la tempesta di bombe e fucili, ci sarà bisogno davvero del nostro lavoro». Politici o portavoce? Strada s?imbestialisce parlando di guerra, quella che oggi si sferra in nome del terrorismo internazionale e che sembra essersi arroccata in una logica a senso unico, senza via d?uscita né segnali di buon senso. «Ma se oggi il mostro da eliminare è il terrorismo, ricordiamoci che il terrorismo è quello che ciascun popolo percepisce come tale. Attacco alle torri, embargo, violazione dei diritti fondamentali, bombardamenti, povertà. Io odio tutte queste forme di violenza dove chi paga sono le popolazioni. La stupidità degli americani ci ha portati sull?orlo del baratro. I politici si prestano a essere dei semplici portavoce del padrone che dà ordini, ma la tragedia è che i pochi che comandano hanno un livello d?intelligenza col quale non supererebbero un test di terza media». Strada, quindi, ritiene che si stia abusando della guerra come di un giocattolo, senza che nessuno si preoccupi di trovare un?alternativa. Intanto, nonostante la massiccia presenza angloamericana, imbottita di Corpi speciali, la situazione in Afghanistan non è per niente stabile. «Già nel novembre 2000 i quotidiani di Islamabad, in Pakistan, annunciavano i bombardamenti Usa su Kabul», afferma. «Poi vince Bush che fa subito un accordo con l?esercito pakistano, ma non può certo dire di contare sul consenso della società civile. In Afghanistan, da un lato, si aspettano vendette contro gli americani e, dall?altro lato, ci sono Russia, Cina (col suo minuscolo pezzetto di frontiera con l?Afghanistan) e India che vogliono mettere le grinfie sul business degli oleodotti. Ma gli Usa, tramite la Unioncal che è già qui, vogliono esercitare il controllo sui contratti». La strategia dei fagioli Gli effetti destabilizzanti di questo contesto sono già visibili, continua a spiegare. «L?Afghanistan non è in grado di tollerare a lungo di venire conquistato con l?arroganza della forza militare. A causa dei bombardamenti, ci sono già state 5mila vittime fra i civili. Delle vittime non è uscita dal Paese nemmeno un?immagine. Karzai è ostaggio della Cia, che lo deve proteggere da pashtun e tadjiki che gli farebbero volentieri la pelle. Idem, in Pakistan, la situazione traballante di Musharraf. Fra le altre cose, l?Afghanistan non ha bisogno dei fagioli lanciati dagli americani, perché qui non si muore di fame. Si può immaginare, perciò, che non appena il vaso traboccherà, la reazione a catena in tutto il mondo mussulmano non si farà attendere». E l?Europa? Per Bush, continua Strada, non conta nulla. Cosa possiamo fare, allora? «Buttare giù tutti i governi che appoggiano la guerra: quando la guerra non è una tragedia che ci capita, ma una strategia che si sceglie». da Kabul, Daniela Binello


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