Famiglia
Lavoro minorile, spezziamo le catene
Il 12 giugno è la giornata mondiale contro il lavoro minorile: 168 milioni i bambini coinvolti. I numeri dell’ILO raccontano questo dramma
Ѐ un affare che riguarda tutti. Con queste parole l’ILO, l’organizzazione internazionale del lavoro, punta i riflettori sulla giornata mondiale contro il lavoro minorile che si celebra il prossimo 12 giugno (#ChildLabour per seguire la giornata su Twitter).
L’edizione 2016 di questa giornata promossa dall’agenzia delle Nazioni Unite, che si occupa di promuovere il lavoro dignitoso in condizioni di libertà, uguaglianza, sicurezza e dignità umana per uomini e donne, è sulla catena di produzione e distribuzione che vede coinvolti i bambini vittime del lavoro minorile e che, a causa della globalizzazione, è diventata sempre più complessa.
Secondo gli ultimi dati dell’ILO sono 168 milioni i bambini coinvolti nel lavoro minorile contro i 246 milioni del 2000. Ottantacinque milioni di questi (erano 171 milioni nel 2000) sono impegnati in lavori pericolosi, ovvero quelli dove i bimbi rischiano la vita o causano malattie e disabilità permanenti. Si stima che siano 115 milioni i bambini tra i 5 e i 17 anni che lavorano in condizioni pericolose in settori diversi come l'agricoltura, le miniere, il manifatturiero, gli alberghi, la ristorazione e i servizi domestici. Un fenomeno che accomuna sia i paesi industrializzati che quelli in via di sviluppo. Sempre secondo l'ILO, sarebbero circa 22.000 i bambini uccisi sul posto di lavoro ogni anno, mentre non si conosce il numero dei feriti o di quelli che si ammalano a causa del loro lavoro.
L’Asia e il Pacifico restano le zone dove si concentra il maggior numero di bambini con quasi 78 milioni, ovvero il 9,3% della popolazione minore. L'Africa sub-sahariana continua ad essere la regione con la più alta incidenza di lavoro minorile (59 milioni, oltre il 21%). L'agricoltura è il settore con il maggior numero di bambini lavoratori coinvolti.
Il lavoro minorile è anche una questione di genere: l’ILO ha registrato un calo del 40% dal 2000 ad oggi per le femmine, mentre per i maschi solo del 25%. Secondo i dati raccolti dall’Unicef, però, le bambine hanno le stesse possibilità dei bambini di essere vittime del lavoro minorile, con la sola eccezione del Medio Oriente, Africa, America Latina e Caraibi dove, invece, è più probabile che siano i maschi ad essere coinvolti. La disparità di genere si manifesta soprattutto nel tipo di attività svolta. «Le bambine- spiegano Giovanna Badalassi e Federica Gentile di Ladynomics – per via delle aspettative legate ai ruoli di genere tradizionali spesso tendono non solo a lavorare, ma anche ad essere responsabili per il lavoro domestico e di cura più dei bambini.
«Per questo», continuano, «sono sottoposte ad un triplo carico di lavoro: lavoro a casa, fuori a casa, e a scuola, quando non sono costrette a rinunciare alla propria istruzione. Le differenze di genere nel lavoro infantile riguardano anche il tipo di attività economica in cui bambini e bambini si concentrano: i bambini lavorano più spesso in settori quali manifattura e trasporti, mentre le bambine sono concentrate prevalentemente nell’agricoltura e nei servizi alla persona; tra i bambini impiegati nell’ambito del lavoro domestico – un settore poco pagato e con scarse garanzie – le bambine rappresentano più del 90% dei lavoratori minori».
Dal 1992 l’ILO è impegnata con l’IPEC, il programma internazionale per l’eliminazione del lavoro minorile che ha sostenuto più di 250 indagini e che ha favorito lo sviluppo di normative sul tema. Due le convenzioni emanate dall’agenzia dell’Onu che regolano il lavoro minorile: la 138 del 1973 che fissa l’età minima per accedere al mondo del lavoro e la 182 del 1999 che definisce quali sono le peggiori forme di lavoro per i bambini.
Di lavoro minorile parla anche il nono Rapporto di monitoraggio sull’attuazione della Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza nel nostro Paese, realizzato dal Gruppo CRC alla cui redazione hanno contribuito 134 operatori delle 91 associazioni del network. L’indagine, presentata a Roma pochi giorni fa, ha rimarcato il fatto che ad oggi, nonostante le numerose sollecitazioni, il lavoro minorile non sia stato ancora inserito nell’agenda politica per monitorarlo e per individuare interventi di prevenzione e contrasto.
Mancano anche dati che impediscono di avere un quadro più preciso della situazione italiana. I dati più recenti, infatti, quelli della ricerca Game Over che Save the Children ha realizzato nel 2013 insieme all’associazione Bruno Trentin. Nel nostro Paese il 7% dei minori nella fascia di età 7-15 anni è coinvolta nel lavoro minorile: più di 2 minori su 3 (fra 14 e 15 anni) sono maschi e circa il 7% è un minore straniero. L’11% degli adolescenti che lavorano – pari a circa 28.000 – sono coinvolti nelle forme peggiori di lavoro minorile, con orari notturni o con un impegno continuativo, mettendo a rischio lo studio, il riposo e il tempo per il gioco che tutti i bambini dovrebbero avere.
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