Welfare

Libertà per le altre Baraldini

Appello in Parlamento per 4 italiani detenuti in pakistan che rischiano la lapidazione

di Redazione

Non c?è solo Silvia Baraldini: nel mondo sono parecchi gli italiani detenuti nelle carceri straniere, spesso accusati di crimini contro i quali non hanno potuto adeguatamente difendersi, o per i quali sono previste pene assolutamente sproporzionate, almeno per il nostro sistema giuridico, o ancora in condizioni di detenzione lesive dei diritti umani. È il caso di quattro italiani incarcerati in Pakistan perché accusati di detenzione e traffico di stupefacenti che ora rischiano addirittura la pena di morte per impiccagione o lapidazione, e per i quali l?associazione ?Nessuno tocchi Caino? sta conducendo una campagna che punta al loro ritorno in Italia. Esattamente come è accaduto per Silvia Baraldini. Ma se nel caso della Baraldini la trattativa tra Italia e Stati Uniti è stata possibile in base all?esistenza di precisi accordi internazionali per il trasferimento di detenuti, con il Pakistan non esiste nessun trattato del genere. O meglio, esiste semplicemente una bozza di accordo che il nostro Parlamento deve ancora esaminare e votare; solo in seguito i quattro nostri connazionali potranno fare ritorno in Italia. Nessuno tocchi Caino si batte perché questo accada al più presto, quindi affinché l?accordo venga approvato ed applicato. Bisogna fare presto, fanno sapere dall?associazione presieduta da Sergio D?Elia: le condizioni delle carceri pakistane infatti sono pessime e i quattro italiani (una donna romana di 44 anni, Virginia Golisano, e altri tre giovani emiliano-marchigiani di cui non sono stati resi noti i nomi) rischiano non solo la vita, ma anche danni permanenti alla salute. Una delegazione di Nessuno tocchi Caino si è recata a visitare gli italiani alla fine di agosto, e riferisce che il carcere di Lahore, ad esempio, dove sono detenuti i tre giovani (due ragazzi e una ragazza, tutti tossicodipendenti), invece dei 2000 detenuti che potrebbe contenere ne ospita 6000; nelle celle, piccolissime, non ci sono letti né brande e i detenuti dormono a turno sul pavimento; i pasti – lenticchie lessate – vengono serviti in secchi, come per gli animali. Il Pakistan è uno dei Paesi del mondo che si è negativamente segnalato agli occhi dei difensori dei diritti umani per aver reintrodotto la pena di morte nel 1997 per molti reati non di sangue, come appunto il traffico di droga, ma anche l?adulterio e la prostituzione, facendo proprie le indicazioni della sharia, la legge islamica. Ed è anche questa tendenza ad inasprire le pene che preoccupa i familiari dei detenuti e l?associazione che quindi sollecitano il Parlamento ad approvare il trattato con il Pakistan entro il mese di settembre. Per saperne di più è possibile contattare Nessuno tocchi Caino al numero 06.689791, e-mail hands.off.cain@agora.stm.it, sito Internet www.nessunotocchicaino.it


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA