Famiglia
Con la gioia vinco il dolore
Era una modella promettente e apprezzata, poi la sclerosi multipla sembra spegnere i suoi sogni e la sua stessa vita. Cambia i metodi di cura ... e da scacco matto al male
C hristine ci attende nel giardino della sua casa di Silvi Marina. Ha uno sguardo fiero ed un sorriso che fa a pugni col suo male. Christine infatti si è ammalata di sclerosi multipla a quarant?anni. Ora ne ha otto in più ma la sorte le ha concesso di sembrare, forse per sempre, una ragazza. Ci eravamo incontrati, qualche anno fa, aveva uno sguardo insicuro e un sorriso spezzato. La forma di sclerosi che l?aveva colpita stava procedendo velocemente. Gli attacchi della malattia troppo frequenti. Ci aspettavamo di vederla spuntare da qualche stanza su una carrozzina o, nella migliore delle ipotesi, di incontrare una donna piegata in due dal dolore. Il dolore provocato dalla perdita di mielina, il rivestimento che lascia scoperte le terminazioni nervose.
Invece, ecco una giovane signora che avanzava lentamente ma sicura. Bionda, alta, magra e con gli occhi azzurri. Solo un segno visibile del male: il bastone con cui si aiutava per camminare. Il resto della battaglia che Christine stava combattendo giorno dopo giorno restava, invisibile, dentro di lei. Poi è lei a svelarci il suo mondo, visibile e invisibile. Un?infanzia tranquilla a Kent in Gran Bretagna dov?è nata. L?ovatta di una famiglia borghese e tranquilla, come tante, a metà degli anni ?60. Sport, buone letture, amicizie selezionate. Poi college e diploma in letteratura. A 18 anni, dopo aver terminato gli studi, Christine intraprende la carriera di fotomodella sfilando per i più noti atelier britannici. Una carriera che si interrompe presto, un po? perché in fondo a Christine non interessava più di tanto e un po? perché, nella sua vita, stanno per entrare l?amore e l?Italia. Nell?estate del 1969, Christine va in vacanza in Grecia ma il viaggio prevede l?aereo sino a Rimini. Durante il viaggio di ritorno l?aereo che dovrebbe prelevarla a Rimini ha un guasto e Christine, assieme alla cugina Janice, deve pernottare a Rimini. Conosce così un giovane italiano proprietario dell?agenzia di viaggi incaricata di questo servizio: Massimo. E? il colpo di fulmine. Poco tempo dopo si sposeranno. Così Christine si trasferisce in Italia, tra la collina e il mare abruzzesi. La felicità la accompagna fino a veder nascere e crescere le due figlie, Michela, di ventotto anni, e Francesca Romana di ventidue. Poi la serenità si blocca. E? il 1990. Due infarti e quattro by-passe per il marito Massimo. Un?ernia al disco per Christine. Sembra un intervento come tanti ma da lì si apre il capitolo del dolore. In coincidenza con l?intervento di ernia si manifestano degli strani sintomi. I medici non riescono a capire.
I mesi passano e le condizioni peggiorano. Christine si reca a Roma, Pavia e Torino dove le viene diagnosticata una connettivite. Ma la malattia non regredisce. I ricoveri in ospedale ormai non si contano più. Poi la diagnosi: sclerosi multipla, nella forma veloce e con attacchi sempre più gravi. Da qui in poi Christine dovrà lottare non solo contro il male ma anche contro un sistema sanitario non proprio incoraggiante. E contro amici e affetti che si affievoliscono, la lasciano sola.
Gli amici? «Questo è un tasto dolente», spiega Christine, «io e mio marito pensavamo di avere molti amici ma dopo quello che ci è successo possiamo dire che solo uno o due al massimo hanno dimostrato di essere tali. Gli amici sono esattamente come noi tutti, disponibili fino al momento in cui non tu non rappresenti qualcosa che può in qualche maniera ?infastidirli?; e una persona malata non può rappresentare certo qualcosa di gioioso». Intanto la malattia non si ferma e Christine non può far altro che assumere cocktails diversi di farmaci che possono solo rallentarne la progressione. Ad un certo punto però, Christine decide di riprendersi la propria vita. Innanzitutto decide di scegliere come curarsi. Si sottopone, prima donna in Italia, all?utilizzo di un farmaco sperimentale del tipo interferone. Alcuni medici a storcono il naso di fronte a questa decisione. Ma Christine migliora. I dolori diminuiscono, i suoi passi sono sempre più sicuri. Poi, vinta questa prima battaglia, decide di fondare un?associazione per tutelare chi in questo tipo di calvario non ha santi. Nasce così l?Apai, associazione senza scopo di lucro finanziata attraverso donazioni volontarie che ha come obiettivo primario la tutela dei pazienti affetti da malattie autoimmuni. Malattie che sono causate da un funzionamento anomalo del sistema immunitario il quale dirotta la propria attività, normalmente rivolta ad eliminare dall?organismo corpi estranei quali virus, batteri e cellule tumorali, contro l?organismo stesso. Sclerosi multipla, lupus eritematoso sistemico, artrite reumatoide, sclerodermia sono, tra le patologie autoimmuni, le più diffuse ed invalidanti. La frase che accompagna il logo dell?associazione non ha bisogno di commenti e recita: ?nessuno dirà più incurabile?. Riesce a riunire attorno all?associazione un comitato scientifico con professori di rango, come Franco Cuccurullo, Rettore dell?università di Chieti e l?immunologo Fernando Aiuti. E l?apporto di due testimonial famosi: Antonino Zichichi e Carla Fracci. A chi le chiede perché un?altra associazione che si occupa di sclerosi multipla, risponde che «Apai non è un?altra associazione, è l?unica che non si occupa solo di sclerosi multipla ma di un?ampia fascia di patologie autoimmuni, circa venti, tra cui appunto la sclerosi, quindi ha un raggio d?azione assai ampio».
Chiediamo a Christine se ritiene sia stato penalizzante vivere questa situazione in Italia e non in Inghilterra. Risponde con sicurezza, «credo che, nella sfortuna, sia stato meglio ammalarsi in Italia, ma non perché qui si possa usufruire di grandi ed attrezzate strutture sanitarie ma piuttosto perché in Inghilterra esiste una maggiore carenza di comprensione dei medici, una carenza di calore umano, di un corretto rapporto tra medico e paziente». Christine è stanca. Ha bisogno di riposare. All?indomani dovrà riprendere l?attività: organizzare convegni scientifici, rispondere e consigliare i molti pazienti che le telefonano da tutta Italia. E dovrà trovare un po? di tempo anche per curare il giardino, cucinare. «Non mi interessano i problemi del domani, cerco di vivere al meglio l?oggi come se il presente, anche se doloroso, sia il peggio che mi possa capitare. Faccio di tutto perché la mia famiglia cresca serena e non pesi su di lei quel che non riesco a fare o la somma dei miei dolori; spero che le mie figlie non debbano vivere la mia esperienza». Insomma, affrontare e vivere interamente l?oggi, lasciare che la gioia abbia la meglio sul dolore, domani sarà un altro giorno bello e terribile insieme. La gioia di vivere scenderà ancora una volta a patti con i dolori e le cure, ma senza soccombere.Chissà, forse la malattia potrebbe rallentare la corsa. Magari bloccarsi improvvisamente così come aveva bussato nove anni fa. Poi, ci dice: «Devo cercare di riposare il più possibile, calcolare gli spostamenti in base all?autonomia che diminuisce lentamente. Ma nello stesso tempo bisogna affrontare con positività la vita, non serve a nulla deprimersi e deprimere chi ti circonda e soffre con te. Oggi mi fanno male le articolazioni, ieri erano gli occhi che bruciavano. Che succederà domani? Sai cosa rispondo? Stai calma vedremo, domani affronteremo il problema di domani, perché angosciarsi già oggi». E sorride.
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