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Somalia: uccisa giornalista nel cuore di Mogasiscio

Si chiamava Sagal Salam Osman. Ieri è stata uccisa da uomini armati non identificati nella capitale somala. Era presentatrice e produttrice a Radio Mogadiscio, un’emittente radiofonica filo governativa. È la seconda giornalista donna ad essere uccisa dall’inizio dell’anno. Con 45 reporter assassinati dal 2007, la Somalia è uno dei paesi più pericolosi al mondo per la stampa. Purtroppo non è l’unico

di Joshua Massarenti

Caro Joshua,

Ho una notizia terribile da darti. Oggi è stata uccisa una nostra collega, Sagal Salam Osman. Era presentatrice a Radio Mogadiscio, una radio vicina al governo. Sagal è stata uccisa da presunti miliziani vicino alla Plasma University, l'università in cui dedicava parte del suo tempo agli studi. È la seconda giornalista donna uccisa negli ultimi sei mesi. Abbiamo perso tanti giornalisti, speriamo di non perderne altri in questo mese sacro del Ramadan.

Così inizia l'email che mi inviato un giornalista della redazione di Radio Shabelle, media partner di Vita nell’ambito di un progetto editoriale che unisce 25 media indipendenti africani. Al pari di Shabelle, sono tanti, troppi i media ed i giornalisti somali minacciati di morte o uccisi per la semplice volontà di informare l’opinione pubblica.

Con l’omicidio di Sagal Salam Osman, sale a 46 il numero dei reporter somali assassinati dal 2007. Nonostante i progressi registrati negli ultimi anni, la Somalia, piazzatasi al 165° posto su 180 nella classifica 2016 della libertà di stampa da Reporter senza frontiere (RSF), rimane uno dei paesi più pericolosi al mondo per i professionisti dei media.

I giornalisti sono regolarmente presi di mira dagli islamisti radicali appartenenti al movimento Al Shabaab, in lotta contro il governo somalo dal 2006. Ma gli Shabaab non sono gli unici nemini dei giornalisti somali, vittime anche di attacchi i cui mandanti sono uomini d’affari o responsabilità politici che disapprovano il modo con cui un giornalista o un media informa l’opinione pubblica somala.


Di sicuro Sagal Salad Osman incarnava tutto quello che gli Shabaab odiano: una donna giovane, istruita e attratta dall’Occidente. Sulla sua pagina Facebook, abbondano foto e commenti sul calcio, di cui era grande fan, special modo del Manchester United.

Finora l’omicidio non è stato rivendicato. La polizia punta il dito contro gli Shabaab. Secondo Radio France Internationale, la sua morte potrebbe essere una riposta da parte delle milizie islamiste all’esecuzione di Hassan Hanafi, condannato a morte per avere aiutato gli Shabaab ad uccidere vari giornalisti negli ultimi anni.

Al pari dei giornalisti di Radio Mogasicio, sono molti i media somali costretti a fare i conti con minacce e tentativi di omicidio da parte degli Shabaab o da gruppi o leader pro-governativi. Nel 2015, due giornalisti di Radio Shabelle, media partner di Vita, e il direttore di Sky FM hanno lasciato il paese per fuggire in Europa.

Purtroppo la Somalia non è un caso isolato. Tra gli ultimi 15 paesi della classifica RSF 2015 per la libertà di stampa, cinque sono africani: Eritrea (180), Sudan (174), Djibuti (172), Guinea Equatoriale (168) e Somalia (168). Ci sono poi paesi che per tradizione non stavano benissimo, ma nemmeno malissimo, ma la cui situazione è precipitata in modo drammatica negli ultimi tempi. E’ il caso del Burundi, dove tutti i media partner di Vita sono stati distrutti nel 2015 durante il golpe militare fallito contro il Presidente Pierre Nkurunziza. Oggi sono quasi un centinaio i giornalisti in esilio e molti altri sono rimasti nel paese svolgendo un mestiere considerato estremamente pericoloso.

Articolo realizzato nell'ambito di un progetto editoriale che associa Vita a 25 media africani indipendenti, tra cui Radio Shabelle (Somalia).

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