Cultura

Biancoshock: «Così abbiamo cambiato il logo dell’Unesco»

Il logo dell'Unesco è stato rivisitato dagli street artist Biancoshock e Alice Pasquini. Dedicato ai migranti che sono «un patrimonio nuovo con cui entrare in contatto; un momento di scambio; un valore aggiunto che a qualcuno fa paura», spiega Biancoshock a vita.it. «Fare arte e puntare solo all’estetica oggi è anacronistico. L'obiettivo è parlare delle cose del mondo e sottoporle all'occhio delle persone»

di Anna Spena

È apparso qualche giorno fa in un’area dismessa alle porte di Milano. Il logo dell’Unesco, l’organizzazione delle Nazioni Unite per l'Educazione, la Scienza e la Cultura, ma con una forza diversa, più attuale.

L’acronimo dell’organizzazione Unesco è stato sostituito da un’altra parola: “Migrants”. Proprio a metà. Tra il tetto e i gradini che ricordano un tempio greco. Custode del sapere. «Sia io che Alice», racconta a Vita.it Biancoshock, lo street artist che ha realizzato il murale insieme ad Alice Pasquini, «ci siamo spesso occupati delle migrazioni. Questa idea di trasformare il logo dell’Unesco era comune ad entrambi i nostri progetti di lavoro; così abbiamo deciso di realizzare l’opera insieme».

Di Biancoshock, infatti, è la struttura del tempio. È sua la mano che ha “inciso” sul muro le lettere a caratteri cubitali di Migrants. Di Alice, invece, il corpo dolce, addormentato, posato sui gradini del tempio.


«Siamo partiti da un logo, quello dell’Unesco, comprensibile a tutti». Quella di Biancoshock ed Alice non è una polemica aperta nei confronti dell’Unione europea; al contrario, è più una riflessione.

«L’Unione europea», spiega l’artista, «siamo soprattutto noi. E tutti i giorni camminiamo per le strade, troppo spesso, indifferenti al resto. Siamo molto orgogliosi delle cose che abbiamo “noi europei”: arte, storia, cultura – che pure a volte non vengono tutelate – E poi però non ci accorgiamo che i migranti, quelli che chiamiamo i “problemi”, invece, sono pure loro un patrimonio nuovo con cui entrare in contatto; un momento di scambio; un valore aggiunto che a qualcuno fa paura».

Quest’opera dimostra – senza troppe parole – come l’arte arriva prima e spiega meglio. «Nei miei lavori parlo delle cose di oggi, delle cose comuni», dice Biancoshock.

«Fare arte e puntare solo all’estetica oggi è anacronistico. L’obiettivo dell’arte, almeno l’obiettivo della mia arte è prendere le tematiche e sottoporle all’occhio della gente. E la street art nello specifico risponde a questa esigenza: non è il pubblico che la cerca, come succede con l’arte classica. È la street art che si propone al pubblico in modo immediato, quasi lo obbliga a guardare».

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