Mondo
Migration compact: Caro Matteo, la solidarietà non è vincolabile
In Giappone, il Premier Matteo Renzi è riuscito a imporre il tema delle migrazioni in Africa - quindi il migration compact - nell'agenda del G7 che si è chiuso poco fa. Bene, ma non basta, sostiene Luca De Fraia. In questa analisi scritta da Ise-Shima (Giappone), dove si è svolto il vertice delle sette nazioni più potenti del mondo, il vice Segretario generale di ActionAid Italia esprime il suo scetticismo sugli obiettivi del migration compact. E spiega il perché.
Il Presidente del Consiglio Renzi ha portato nella discussione al G7 di Ise‑Shima il tema delle migrazioni dell’Africa. Ne ha parlato con passione nell’incontro con i giornalisti italiani, in occasione del quale è tornato sulle posizioni che ha tenuto nelle conversazioni con gli altri leader. Con convinzione ha ripreso due concetti chiave: il terrorismo non nasce dalle migrazioni, ma da processi di radicalizzazione a casa nostra; senza un piano per lo sviluppo dell’Africa, non potremo risolvere il problema e il dramma di chi lascia i propri Paesi per una vita migliore. Africa anche terra di opportunità per noi e per tutta l’Europa.
Matteo Renzi rivendica con ragione di aver inserito il tema nell’agenda europea e che il G7 sta seguendo nella stessa direzione. La Leaders’ Declaration contiene una corposa sezione dedicata al tema, sottolineando l’urgenza di moltiplicare gli sforzi. Con queste premesse, c’è da aspettarsi che Africa e migrazioni avranno un grosso peso nell’agenda del Vertice 2017 a guida italiana.
Parte di questa spinta per un piano per l’Africa è il riferimento al migration compact. La proposta italiana – condivisa con i leader Europei nello scorso mese di Aprile ‑ guarda al tema dei flussi sia dal punto di vista dei migranti economici sia di quello dei rifugiati, potenziali richiedenti asilo. Il documento è chiaro tanto da non nascondere che la questione è l’impatto di questi flussi sull’Europa; solo successivamente vengono prese in considerazioni le cause delle migrazioni.
Il migration compact è chiaro tanto da non nascondere che la questione è l’impatto di questi flussi sull’Europa; solo successivamente vengono prese in considerazioni le cause delle migrazioni.
L’Italia è sulla prima linea dei fenomeni migratori del Mediterraneo da molti anni, faticando non poco a farsi sentire dal resto della comunità europea. Per quanto riguarda i tempi più recenti, è almeno dai giorni della primavera araba del 2011 che si è assistito a una corposa crescita dei flussi di migranti e rifugiati. In particolare, per quello che riguarda i rifugiati si ha riscontro di come sia radicalmente cambiato il fenomeno dalle risorse contabilizzate secondo le regole dell’OECD per far fronte alla crisi, che passano da 2 milioni nel 2010 a 410 milioni nel 2011.
Anche di fronte a uno scenario che si è fatto sempre più complesso, l’Italia ha dovuto lottare per imporre il tema in occasione della Presidenza dell’UE nel seconda parte del 2014. Non solo: più recentemente il nostro Paese ha richiesto che i costi per affrontare la crisi non vengano inclusi nel deficit dei Paesi dell’EU. Tema sul quale la risposta dell’Ecofin è stata debole, non cogliendo il fatto che neutralizzando questi costi si possa dare anche una risposta alle crescenti tensioni interne, evitando di mettere in competizione interessi e bisogni diversi.
Il migration compact corrisponde alle ambizioni di un piano per l’Africa? Un elemento da considerare è che nel caso del compact non si tratta di cooperazione allo sviluppo così come la definiamo comunemente. Il testo della proposta del Govreno Renzi ci aiuta a capire meglio: infatti, il cuore del compact è presentato come un bargain, un accordo o meglio ancora un contratto. Quindi, siamo in un regime di do ut des, ben diverso della logica della cooperazione allo sviluppo che richiede di affrontare bisogni e tutelare diritti, puntando a migliorare le condizioni di vita come e dove necessario. Come ricordato dal Presidente Napolitano: imperativo morale e investimento strategico.
Siamo in un regime di do ut des, ben diverso della logica della cooperazione allo sviluppo che richiede di affrontare bisogni e tutelare diritti.
Gli aiuti sono concessi per ragioni di solidarietà, senza alcun tipo di condizionalità o finalità diversa dalla riduzione della povertà. Si potrà dire che questa è teoria, ma nella proposta del migration compact si va oltre. A fronte della propria offerta, l’EU richiede (ask) ai possibili Paesi beneficiari interventi in aree ben definite: controllo delle frontiere, misure per il rimpatrio oltre che la creazioni di strutture per i richiedenti asilo. Una vocazione al contenimento dei fenomeni migratori, piuttosto che alla loro risoluzione, che si legge nell’enfasi posta sul ruolo dei “Paesi terzi” Per essere chiari, si chiede, a questi Paesi di implementare programmi di rimpatrio, di collaborare con la polizia di frontiera europea (di nuova creazione) e di istituire anagrafiche elettroniche.
Non mancano avvisaglie del fatto che le politiche di cooperazione allo sviluppo possano servire interessi militari e di sicurezza. Proprio di questo, ad esempio, ha discusso l’OECD DAC lo scorso febbraio, rivendendo parzialmente le regole che consentono di rendicontare spese militari come cooperazione allo sviluppo e l’Unione Europea ha avviato una consultazione proprio su questo argomento. Anche nel migration comapct si chiede di riallineare gli strumenti di cooperazione europea per assecondarne i fini.
La strada che si deve suggerire è quella di distinguere la cooperazione allo sviluppo da altre forme di partneriato, come nel caso del migration compact. In questo senso bisogna trovare proposte operative che interpretino a pieno lo spirto di un piano di cooperazione per lo sviluppo dell’Africa. Il compact può essere un’operazione legittima e utile, ma non può passare l’idea che per combattere povertà e inuguaglianza – l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite ‑ bisogna accettare le regole da noi imposte. Sarebbe un salto nel passato.
Luca De Fraia è vice Segretario generale di ActionAid Italia.
Cosa fa VITA?
Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è grazie a chi decide di sostenerci.