Mondo

Oscar in black, ma che bello A beautiful mind

Recensione del film "A beautiful mind" di Ron Howard

di Aurelio Picca

Gli Oscar li hanno vinti i neri, però i bianchi non erano da meno. La Kidman era stratosferica nel pirotecnico Moulin Rouge, ma il gladiatore Russell Crowe in A beautiful mind (che comunque ha vinto gli Oscar: miglior film, regia (Ron Howard), attrice non protagonista (Jennifer Connelly) ha ridato sangue alle maschere ormai desuete dell?Actor Studios, dando forza a un personaggio che incarna, sì, le aspirazioni positive dell?America, ma al contempo ribadisce che nella retorica (bene e valori) della fabbrica hollywoodiana, le interpretazioni degli attori fanno sempre la differenza. A beautiful mind è il calco della vita del matematico John Nash e di sua moglie Alicia e Jennifer Connelly è stata pazzesca per misura, bellezza, capacità di recitare accanto a Crowe in un corpo a corpo che ricorda le coppie insuperabili di Hollywood. Nel 1947, John Nash, con la matematica, vuole progettare illusioni e sogni, e non teoremi astratti ma sempre precisi e logici. Nel 1953, in piena Guerra fredda, cade nella schizofrenia. Crede di lavorare per il Pentagono contro l?atomica dei sovietici. Per sempre vedrà persone e amici irreali ma intanto continuerà a progettare il sogno di un pazzo che fa calcoli sulla vetrata della biblioteca. Alla fine, Crowe-Nash vince alla maniera dei neri: spezzando le catene della schiavitù. Il premio è il Nobel. Nel ringraziare sua moglie, Connelly-Nash, le dice: «Senza di te non ce l?avrei mai fatta».


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