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Retromarcia sull’Ires? Cinque ragioni per non fidarsi

Il Governo continua a parlare a più voci, le smentite hanno toni molto diversi, non è dato sapere a chi va la responsabilità della "svista", non si conoscono le coperture per l'eventuale ripristino della tassazione al 12% e nessuno ha ancora preso contatto con le rappresentanze del Terzo settore. Risultato? Prima di abbassare la guardia occorre valutare il testo scritto del provvedimento correttivo. Le parole non bastano

di Redazione

Tutto bene quello che finisce bene? Eh, no. Stavolta non è proprio così. Quello che conta sono i provvedimenti scritti nero su bianco (e l’aumento dell’Ires entrerà in vigore), non gli annunci o i desiderata (allo stato attuale non esiste alcun testo che preveda il ritorno alla tassazione del 12%). Sull’Ires non basta una retromarcia, verbale, scomposta e frettolosa per rimettere a posto le cose. Anche perché almeno cinque punti interrogativi rimangono sul tavolo

  • Prima domanda. Qual è la posizione del ministero dell’economia?

L’ultimo a parlare sul tema ieri sera è stato il ministro Giovanni Tria in audizione alla Camera. A proposito della contestata norma che cancella l’Ires agevolata per gli enti non commerciali portando l’aliquota dal 12% attuale a quella ordinaria del 24% il titolare dell’Economia ha dichiarato: «Dentro l’ampio spettro del no-profit ci sono anche molti fenomeni di distorsione, anche della concorrenza. Bisogna distinguere chi va sostenuto e chi no». E ha aggiunto: «Se non c’è utile non c’è tassazione». Naturalmente, è un’ovvietà. Ma il punto non è se tassare o meno le entrate del non profit, ma quanto tassarle. E se quindi il non profit sia meritevole di un trattamento fiscale di favore in virtù del valore sociale che apporta, cosa mai messa in dubbio durante l’epoca repubblicana fino all’arrivo del governo del cambiamento? Ministro Tria, a che gioco sta giocando? Concorda sulla necessità di cancellare il passaggio incriminato contenuto nella manovra così come promesso da Conte-Di Maio-Salvini? È consapevole del fatto che al suo ministero da una parte c’è la irrefrenabile viceministro Laura Castelli che sostiene scriteriatamente che il non profit non dovrebbe fare profitti e dall’altra il sottosegretario Massimo Bitonci che ieri in diretta a Sky Tg 24 durante un confronto col sottoscritto (qui il video) ha sostenuto che il non profit debba accrescere la sue possibilità di finanziamento relazionandosi anche col mondo profit?

  • Seconda domanda. Qual è la smentita più attendibile?

Come sempre sono stati tre i protagonisti della retromarcia di ieri. In ordine cronologico: il vicempremier Di Maio, il premier Conte, il vicepremier Salvini. Bene: hanno detto tre cose diverse l’uno dall’altro. Di Maio ha detto di una norma che va cambiata nel primo provvedimento utile. Si volevano punire coloro che fanno finto volontariato e ne è venuta fuori una norma che punisce coloro che hanno sempre aiutato i più deboli. Non possiamo intervenire nella Legge di Bilancio perché si andrebbe in esercizio provvisorio. Ma prendo l'impegno di modificarla nel primo provvedimento utile». Conte invece ha parlato espressamente di «riformulazione e calibrazione della disciplina fiscale» del Terzo settore. Infine Salvini ha garantito «l'impegno del governo ad intervenire per aiutare le tante associazioni di volontariato che utilizzano solo a scopi sociali i loro fondi, ci sarà invece massimo rigore con i 'furbetti' che fanno altro».
Ricapitolando: Di Maio si impegna a ribaltare la norma, che non dovrà avere lo scopo di aumentare la pressione fiscale sul non profit, ma quello di sanzionare il finto non profit. Conte comunque insiste sulla necessità di un intervento fiscale. Salvini, gira più al largo, impegnandosi genericamente ad aiutare chi se lo merita e a punire i furbetti (e non si capisce questo cosa c’entri con un provvedimento di natura fiscale, a meno di non voler punire che va troppo forte in auto aumentando a tutti il costo della benzina).

  • Terza domanda. Chi si prende la responsabilità della svista?

Affinché l’impegno del governo a fare marcia indietro sia davvero credibile, occorre che si faccia luce sulla manina, che ha riscritto la norma dell’Ires. Altrimenti quella malevola manina rimarrà a piede libero con il rischio che questa non rimanga un’imboscata isolata. E poi perché chi fa politica porta la responsabilità della misura che prende.

  • Quarta domanda. Il Governo dove prenderà le coperture necessarie a cui rinuncia riportando l’Ires al 12%?

Torniamo al punto tre. Senza una risposta a questa domanda, l’impegno della marcia indietro è molto aleatorio. Il sottosegretario Bitonci sostiene che «non ci saranno problemi, perché non si tratta di budget importanti». Sarà anche così, ma nel frattempo questo Governo, solo per fare due esempi, sta tagliando 32 milioni di contributi alle Nazioni Unite e congelando 40 milioni di risorse per la cooperazione internazionale e con tutta probabilità farà mancare circa 100 milioni di euro per il servizio civile rispetto alla dotazione finale dello scorso anno. Senza contare il taglio al credito di imposta per le fondazioni impegnate contro la povertà minorile. Tornando a noi: il recupero di maggiori imposte stimato in ragione dell’aumento dell’Ires vale 118 milioni per il 2019 e 157 per ognuno dei due anni successivi.

  • Quinta domanda. Quando il Governo incontrerà la rappresentanza del Terzo settore?

«Prendiamo atto del dietro-front del Governo sull’aumento della tassazione Ires per il volontariato. Resta fermo che con l’approvazione della manovra così com’è nelle intenzioni dell’Esecutivo si scrive un’ipoteca sul destino del Terzo settore italiano. Attendiamo quindi la tempestiva convocazione dell’annunciato incontro di chiarimento per trovare le correzioni alle previsioni della manovra e discutere degli strumenti di promozione del Terzo settore e del completamento della riforma e passare così dalle parole ai fatti». Così la portavoce del Forum Terzo Settore Claudia Fiaschi. Qualcuno si prenderà la briga di rispondere a stretto giro? È possibile avere una data?

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