Politica

Manovra, per il governo il «non profit» è un bene di lusso

La «manovra del popolo» ha raddoppiato l’Ires al «non profit», per raggranellare 118 milioni di euro. Ne valeva la pena?

di Gian Antonio Stella

Erano 65 anni che nessuno osava metter sullo stesso piano un’oreficeria di lusso, una multinazionale con 119 stabilimenti e il servizio ambulanze d’una valle alpina. La «finanziaria del popolo» l’ha fatto. Raddoppiando l’Ires al «non profit» per portarla al livello delle società che dal lucro sono mosse. Una scelta accolta dal mondo del volontariato come un pugno nell’occhio.

Esempio: i soldi raschiati dalla nuova legge giallo-verde nei bilanci delle Pubbliche Assistenze dell’Anpas (350mila soci, 90 mila volontari, fondazione nel 1904) potrebbero esser superiori ai 20 milioni di euro nella sola Toscana, una delle realtà più generose d’Italia. Il costo, spiega Dimitri Bettini, «di 300 ambulanze o pulmini per disabili nuovi. Perché a questo sono serviti, negli anni, gli utili tassati fino a ieri al 12 e ora al 24%: a comprare mezzi di soccorso, campi tendati, cucine mobili, pompe, gruppi elettrogeni per le emergenze e le attività della di protezione civile». Val la pena di toglierli da lì e buttarli nel calderone delle casse statali? Boh… Forse, prima di fare un passo così incauto in nome della «quota 100» e del reddito di cittadinanza, Matteo Salvini e Luigi Di Maio avrebbero potuto dare un’occhiata ai numeri del Terzo Settore. Cinque milioni e mezzo di volontari censiti dall’Istat (un italiano su sei, dai venti ai sessantaquattro anni), 343.432 organizzazioni senza fini di lucro, 812.706 dipendenti… Un figurone, per un paese come il nostro imbarazzato spesso da tante cose che non vanno.

Un mondo di donne, uomini, ragazze e ragazzi che tutti i santi giorni, senza marcar visita i sabati e le domeniche o le feste comandate, quando c’è bisogno, tappano i buchi lasciati da tutte le parti da uno Stato che non ce la fa a fornire ai suoi cittadini, soprattutto quelli disabili troppo spesso abbandonati a se stessi, quella assistenza che viene loro solennemente garantita nei bla-bla della politica degli spot e della propaganda.

Sono 118 i milioni che il governo gialloverde ha messo in conto di rastrellare sopprimendo quel 50% di sconto sull’imposta sul reddito delle società che lo Stato riconosceva alla galassia del volontariato dal lontano 1953 e confermato nel 1973. Tanti? Pochi? Fate i conti: mediamente ognuno di quei 5,5 milioni di volontari regala a chi ne ha bisogno almeno tre ore alla settimana (almeno: in realtà sono sempre di più, senza contare le emergenze di un terremoto o un’alluvione) per un totale annuale di 858 milioni di ore di lavoro. A 10 euro l’ora, paga ridicola per tanti impagabili esempi di abnegazione, quel volontariato regala allo Stato oltre otto miliardi e mezzo di euro. Quasi settanta volte di più di quanto andrà a rosicchiare sull’Ires. E parliamo di un mondo bastonato mentre parallelamente la stessa finanziaria gialloverde taglia il «soccorso civile» da 6,7 miliardi nel 2019 a 3,4 nel 2021. Speriamo bene…

Sempre lì torniamo: valeva la pena? Eppure, secondo Claudia Fiaschi, portavoce del Forum Nazionale Terzo Settore, la botta alle organizzazioni senza fini di lucro potrebbe esser ancora più dura: « Il problema è l’indotto. Un ente religioso che ha messo a disposizione uno stabile a un affitto basso per un asilo nido, un ospizio, un centro rieducativo, come potrà permettersi ancora la stessa generosità?» Vale per le scuole, centri di assistenza, i ricoveri per anziani… «Almeno centomila organizzazioni non-profit saranno colpite», spiega Riccardo Bonacina, fondatore e animatore di Vita.it, «Nell’attesa che la povertà venga abolita (mai annuncio fu più infelice), il Governo pare voler colpire chi ancora lavora a favore dei poveri e opera nella cultura e nell’assistenza. E intanto proroga le concessioni agli stabilimenti balneari (103 milioni incassati nel 2016) che per Nomisma hanno un giro d’affari di 15 miliardi».


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