Welfare

Il caso Cogne. Delitto & delittologi

Un processo all’informazione. Difficile trovare la verità con tanta, spasmodica attenzione dei mezzi d'informazione. Un intellettuale accusa l’overdose di tv e stampa

di Marco Revelli

Nel sabato di Pasqua i quotidiani italiani sono tornati a dedicare la prima pagina al ?delitto di Cogne?. Mentre in Palestina si consumava una tragedia di portata mondiale, molti di essi, quasi tutti, hanno scelto di tornare a titolare a sette colonne su quella tragedia familiare per commentare ora, con la stessa vorace superficialità con cui prima l?avevano lapidata, la scarcerazione di Anna Maria Franzoni.

Merce che tira
Di certo perché la notizia è una merce, e quella merce oggi ha un mercato che tira come per nessun?altra. Forse anche per una tardiva volontà di risarcimento verso una famiglia che in questi mesi è stata davvero ?messa in croce?. Comunque quasi sempre rovesciando il meccanismo della ricerca istantanea di una qualche verità e responsabilità (ieri la madre, oggi i giudici, gli improbabili ?scienziati? del Ris, i consulenti), e lasciando scrupolosamente fuori discussione le proprie responsabilità. I propri ?buchi neri?. Invece, se un colpevole c?è, dichiarabile fin da subito, in questa tristissima vicenda, questo è il mondo dell?informazione.
Bisogna dirlo! Quanto è avvenuto in quella villetta di Cogne (qualunque cosa sia avvenuta, qualunque!), costituisce una tragedia così grande, così ?privata?, così atrocemente umana, che avrebbe dovuto imporre a chiunque un rispettoso silenzio pubblico.
Un silenzio responsabile: perché gli inquirenti potessero fare il proprio lavoro in assoluta tranquillità. E soprattutto perché la madre, il padre, i parenti, gli amici di Samuele potessero vivere il proprio intimo dolore, già inconsolabile, senza la tortura e la volgarità del frastuono esterno: senza dover misurare le parole, i gesti, le espressioni sotto gli sguardi avidi di milioni di voyeur affamati. Per questo a quella soglia ci si sarebbe dovuti avvicinare in punta di piedi, e poi davanti a quella porta chiusa arrestarsi, posare telecamere e taccuini, mettere a tacere direttori e capiredattori, e partecipare semplicemente al lutto. Invece no. Il branco mediatico si è accampato da occupante davanti a quella soglia, ha compiuto incursioni da ?arancia meccanica? oltre quella porta, violando ogni intimità, senza rispetto, senza pudore, alla caccia di un particolare da sbattere in cronaca.
Ha frugato impietosamente tra le pieghe della comunità senza arrestarsi davanti a nulla, raccogliendo dagli angoli la spazzatura, registrando con zelo ogni voce, pettegolezzo, malignità (quello che appunto negli anfratti di ogni piccola comunità si bisbiglia appena, consapevoli della sua impronunciabilità) e ne ha fatto notizia di prima pagina, oggetto di titolo cubitale, evento pubblico nazionale, enfatizzandola con la propria potenza comunicativa.

Pagine e pagine
Teppismo giornalistico, non saprei come altrimenti definire tutto ciò: le pagine e pagine dei quotidiani (fino a sei sono arrivato a contarne sul pur nobile Corriere della Sera) dedicate ogni giorno al caso, anche quando non c?era nulla da dire, solo fondi di cassetto da razzolare; gli osceni talk show affollati di psicologi ignoranti e di criminologi criminaloidi nella loro disinformata sicumera; i tg con le eterne riprese del paesino con neve o senza e la consueta caccia all?uomo per le vie semideserte all?inseguimento di un commento strappato, magari d?un?invettiva sfuggita.
Qualcuno pagherà penalmente per tutto questo? Qualcuno pagherà almeno moralmente? Finora stanno pagando gli ?osservati? dai media: tutti coloro che hanno avuto la sfortuna di cadere sotto il loro occhio vitreo, i familiari in primo luogo, ma anche gli inquirenti, i giudici, i periti, i carabinieri, i vicini di casa, il sindaco, tutti a modo loro hanno avuto la loro bella corona di spine. E gli ?osservatori?? Sono, come gli antichi sovrani, legibus soluti? Sacerdoti del nulla, possono impunemente condannare all?inferno in nome del sacro valore della notizia?
Non so dare risposta a una tale questione. E penso che a darla non possa né debba essere una qualche ?autorità?, giudiziaria o meno, ma il nostro ?senso comune?, se solo sapessimo ritrovarne uno genericamente ?umano?. Certo è che la degradazione della nostra società ha evidentemente nella degradazione del suo sistema dell?informazione un acceleratore potente.

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