Cultura

Betlemme: un asilo in guerra. Il grido di Sophie

Intervista a Suor Sophie che da tredici anni assiste con le sorelle francesi di San Vincenzo i bimbi abbandonati.

di Paolo Manzo

Lungo la strada che da Betlemme porta a Beit Jala, a pochi chilometri dalla Grotta della Natività, c’è un’altra grotta, la Crèche, un asilo nido dell’ospedale Santa Famiglia di Betlemme, dove tanti neonati trovano una culla e gli orfani una casa. Gestito dalle suore francesi di San Vincenzo de’ Paoli, i bambini “senza famiglia” hanno in Suor Sophie una vera mamma. Battagliera. Vita: Suor Sophie, dove si trova esattamente? Sophie: Nel bel mezzo di Betlemme, nel bel mezzo dei combattimenti. Che sono estesi dappertutto. Casa per casa. Ci sono carri armati ovunque e noi non possiamo assolutamente uscire. Le bombe arrivano da ogni dove e ci sono giunte voci di molti feriti, ma non lasciano uscire le ambulanze per andare a raccoglierli. Vita: E anche la vostra opera d’assistenza è bloccata… Sophie: Sì, ed è una vergogna. Qui è pieno di bimbi abbandonati, senza una famiglia. In tutto sono oltre 50. E poi c’è il reparto maternità che è pieno di culle. Abbiamo bisogno di pane e dobbiamo poter uscire per andare a prenderlo dai salesiani, che nutrono grazie al loro forno oltre 600 famiglie qui a Betlemme. Ma i tank israeliani non ci lasciano passare. Vita: Cosa pensa di fare per nutrire i neonati della Crèche? Sophie: A saperlo… Proprio adesso sono rientrata e ho fatto domanda per produrre dentro la Crèche il pane… se non possiamo uscire a prenderlo fuori, vedremo. Ma il problema maggiore è per quei bambini abbandonati che, sino a pochi giorni fa, trascorrevano qui le giornate. Per potersi sfamare con quel poco che potevamo dare loro. Adesso i carri armati impediscono anche questo tipo d’assistenza. Vita: Vede sbocchi a questa situazione drammatica in Terra Santa? Sophie: Continuate a denunciare questa situazione. In Europa siete molto sensibili e avete buoni contatti con il mondo che conta, i ricchi, gli americani. Anche perché da un lato Sharon vuole che Arafat se ne vada, ma se il leader dell’Anp se ne va, qui avremo una situazione davvero incontrollabile. Vita: Suor Sophie, ha un appello che vuole lanciare agli italiani? Sophie: Insistete. Fatevi sentire. Prendete le parti di questa povera gente che soffre pene inenarrabili. La loro è la lotta dei poveri e dei diseredati. Io non voglio difendere una parte a scapito di un’altra, ma lo stesso Arafat è pur sempre un uomo anziano che rappresenta un popolo. Perché trattarlo come una bestia? È degno di una nazione che si consideri civile e democratica? Vita: Ci sono dei feriti tra le suore francesi di San Vincenzo de’ Paoli? Sophie: No, per fortuna. Ma nel vicino ospedale Santa Famiglia di Betlemme, che ha ricevuto molti aiuti dall’Italia, ho parlato con il dottor Cumre che mi ha espresso la sua frustrazione: non possono più aiutare i feriti. Hanno le ambulanze bloccate, sotto tiro. Vita: Da quanto è in Terra Santa? Sophie: Tredici anni. Ho due Intifade alle spalle ma una situazione come questa non l’avevo mai vissuta. È sconvolgente. Un colpo di granata interrompe per qualche secondo la conversazione. Poi la voce di Suor Sophie ci tranquillizza: «È solo un altro colpo. Di carro armato». Sarà, ma noi non ci siamo ancora abituati.


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