Sostenibilità

Dateci la finctio e cambieremo tutto il mondo.

Linee telefoniche dedicate per scrittori e sceneggiatori, équipe di volontari e psicologi per correggere le scalette.

di Carlotta Jesi

«P er fortuna che il bambino morto era quello Down». Novembre 1998, Rai Uno, prima serata. Ricordate? Nell’ospedale di Una donna per amico, sceneggiato tv con Elisabetta Gardini nei panni di una ginecologa, i medici consegnano a due donne il risultato dei loro esami di amniocentesi e senza tanti giri di parole invitano una delle future mamme ad abortire. Ma a perdere il bambino, per cause naturali, sarà l’altra. Che i medici, confessando di aver per errore scambiato i referti, consolano così: «Per fortuna che il bambino morto era quello Down». Sorrisi, stacco musicale, titoli di coda. E una pioggia di critiche dal Terzo settore che accusa la produzione di aver mancato di rispetto alla vita umana e ai 49 mila Down italiani.
Ma ormai il danno è fatto: nelle case dei telespettatori entra il messaggio che un bimbo Down si può buttare con sollievo.
Tutto qui quello che si può fare? Solo denunce, querele e boicottaggi post produzione? No. Per capirlo basta sintonizzarsi con la televisione americana, che da un ventennio oltre cento associazioni a stelle e strisce aiutano invece di combattere. Con una massiccia attività di lobby negli uffici dei produttori e sceneggiatori fra più influenti di Hollywood.

La sicurezza stradale in prime time
A lanciare la moda, nel 1988, è stato il direttore della Scuola di Salute Pubblica di Harward, Jay Winsten. Sicuro che il modo migliore di convincere i ragazzi americani a non guidare sotto l’effetto dell’alcool fosse di farglielo raccontare dai loro personaggi tv preferiti. Star di fiction, soap opera, telefilm e sceneggiati vari che ai sedicenni neopatentati dessero il buon esempio senza annoiare o spaventare eccessivamente. Già, ma come? Recitando la parte del “guidatore designato”: quello che, ancora prima di uscire, si impegna a non bere per una sera e a riportare tutti gli amici a casa. Un’idea molto semplice, vero. Ma che al professor Winsten permise di entrare nelle stanze dei bottoni più importanti della televisione. Con 13 lettere di presentazione indirizzate alle principali compagnie di produzione d’America, Winsten ottenne 250 appuntamenti con scrittori, sceneggiatori ed executives televisivi, e in quattro anni il guidatore designato è stato l’argomento principale di 25 episodi di 30 o 60 minuti. Ne hanno parlato 160 trasmissioni in prima serata e, dal 1991, è una delle voci del Webster’s College Dictionary. Dati impressionanti. Ma niente a confronto dei risultati di un sondaggio Gallup che nel 1989, un anno dopo l’invenzione del guidatore designato, misurava così i suoi effetti sulla popolazione americana: il 67% degli adulti ne aveva sentito parlare o lo aveva notato in tv; si era prestato a farlo almeno una volta il 52% degli adulti con meno di 30 anni e, più in generale, il 37% degli adulti americani. E gli incidenti stradali? Da 23.626 a 16.189 crash mortali in 9 anni, ha comunicato nel 1997 la National Highway Trafic Safety Administration. Che proprio in quegli anni fissava pene più severe per i guidatori ubriachi ma attribuiva gran parte del merito del calo degli incidenti alla campagna di sensibilizzazione del professor Winsten. Un caso di successo, che centinaia di organizzazioni e associazioni americane, da Planned Parenthood alla Gay and Lesbian Alliance Against Defamation, hanno preso come esempio per fare lobby con produttori e sceneggiatori tv.

Le serie tv per parlare ai ragazzi
«Se non posso bussare a tutte le porte d’America per discutere di igiene ed educazione sessuale con gli adolescenti», ha dichiarato lo scorso mese di agosto a The American Prospect, Marisa Nightingale, responsabile del programma governativo per la prevenzione di gravidanze tra i minorenni, «la migliore cosa da fare è che a parlarne siano Phobe, Rachel, Joy, Ross e Chandler». I protagonisti del telefilm Party of Five, che in Italia si chiama Friends e ogni giorno alle 14. 30 su Rai Due tiene incollati allo schermo oltre due milioni e mezzo di telespettatori. Divertiti dalle avventure ma anche dai problemi di questi trentenni newyorchesi che, più o meno direttamente, si trovano ad affrontare violenze sessuali, conflitti tra genitori e figli, tossicodipendenza, anoressia e relazioni di coppia. Temi delicati, che l’associazionismo americano aiuta a trasformare in fiction di qualità facendo da consulente a sceneggiatori piuttosto che boicottare i prodotti mal riusciti. È il caso dell’Environmental Media Association, nata 10 anni fa per trasformare il rispetto dell’ambiente in una trama da prima serata e oggi una vera macchina da lobby televisiva che a produttori e sceneggiatori offre storie, idee e perfino le bottiglie di plastica riutilizzabile che i medici della fiction E.R. si passano con nonchalance davanti alle telecamere. «Il 74% dei giovani impara a conoscere l’ambiente dalla televisione», spiega il presidente dell’Environmental Media Association, Wendy James. Che ogni anno raduna i produttori e gli scrittori di Hollywood promettendo un assegno di 10 mila dollari all’autore della migliore trasmissione verde e offrendo a ciascuno il suo format ambientale: cambiamenti climatici per sceneggiati scientifici, processi a grandi industrie inquinanti per le sit-com di avvocati in carriera, commercio equo solidale a soap in cerca di location diverse dai pozzi di petrolio.
«Il punto è convincere chi fa televisione che gli si sta rendendo il lavoro più facile, presentarsi a chi è sempre alla disperata ricerca di stimoli e idee come un cantastorie», spiega Robert Perkurny. Oggi professore di Comunicazione alla Florida State University e vent’anni fa tra gli autori di Happy Days: il telefim che in una sola puntata del 1977, quando Fonzie entra in una biblioteca pubblica per leggere un libro, ha fatto crescere la richiesta di tessere per biblioteche del 500%. E l’ennesima prova che ai sostenitori di ambiente, diritti umani e salute conviene “fare” televisione piuttosto che tentare di boicottarla dal divano di casa.

Come cantastorie
Ne sanno qualcosa i responsabili della Family Kaiser Foundation, un ente non profit con sede in California che nel 1997 ha aiutato gli autori di E.R. a scrivere una puntata sulla prevenzione dell’Aids nei giovani e ne ha monitorato i risultati. Intervistando 400 affezionati della fiction prima e dopo che la puntata andasse in onda: il numero dei telespettatori che dichiarò, dopo la trasmissione, di aver imparato come prevenire il virus e appreso che ogni ora 2 persone tra 13 e 14 in America contraggono l’Hiv salì del 17%. Il che, secondo la Fondazione, significava che per 6 dei 34 milioni di telespettatori della puntata E.R. era stata la prima fonte di informazioni sulla portata del virus e le sue modalità di prevenzione.
E in Italia? Quanti nostri telespettatori possono dire di aver ottenuto informazioni utili dalle loro fiction preferite? Quante associazioni, ministeri o enti pubblici stanno facendo lobby perché dell’obbligo di portare il casco e dei pericoli di calarsi una pasticca di ecstasy parlino i protagonisti di Un Posto al Sole, Un Medico In Famiglia, Il Maresciallo Rocca e tutte le altre soap o real drama nostrani?

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