Cultura
Gomorra, il successo in 5 punti
L’attesa è finita. Stasera su Sky Atlantic riparte “Gomorra-La Serie”. La prima stagione ha ottenuto un successo clamoroso; a distanza di due anni arriva anche seconda. Daniela Cardini, docente di Format e serie tv alla Iulm di Milano, spiega a Vita.it il perchè di questo successo internazionale. «La grande chiave della serie è l’assenza totale di retorica»
di Anna Spena
Nel 2006 Roberto Saviano pubblicava “Gomorra”, il libro simbolo che ha trasformato nell’immaginario collettivo di tutti le dinamiche della criminalità organizzata napoletana. Nel 2014 la prima stagione della serie ispirata all’omonimo romanzo. Il successo è stato clamoroso.
La produzione riparte stasera, sempre su Sky Atlantic, e sembra essere un boom già annunciato. Ma qual è la chiave di questo successo internazionale? Vita.it lo chiede a Daniela Cardini, docente di Teoria e tecnica del linguaggio televisivo e di Format e serie tv all’Università Iulm di Milano, che mensilmente tiene su Vita magazine la rubrica “Long Tv. Le serie televisive viste da vicino”.
1 Tecnicamente è perfetta
Dal punto di vista produttivo è una serie tecnicamente perfetta. Ha un’ottima regia, un bellissimo cast, la recitazione e il ritmo di scrittura sono perfetti. Tutti quelli che chiamiamo “production values” vengono assolutamente rispettati.
2 Il linguaggio
La forza del linguaggio, inteso in senso stretto, le parole che vengono usate. Da una parte l’uso del dialetto, dall’altra la scelta di usare i sottotitoli. Tutto ciò crea contemporaneamente un effetto di localizzazione e di vicinanza, per chi è napoletano, ma anche un senso di straniamento, per chi non lo è, che permette di prendere distanza da quel che si vede..
3 I personaggi
È assolutamente credibile dal punto di vista delle tematiche e della costruzione dei personaggi; non si racconta Napoli, ma il microcosmo della camorra.
4 L'assenza di retorica
L’assenza totale di retorica nella rappresentazione del male. Il male non viene mai raccontato come se fosse possibile una redenzione. Il male è male. Non c’è un eroe e non c’è un antieroe. Ci sono persone credibili, che hanno relazioni, famiglia, amici, emozioni, ma che vivono in un mondo dove i valori sono capovolti. Non sono macchiette, non sono stereotipi. La stessa Napoli non è il solito stereotipo del luogo a doppia anima, nella serie non la si racconta come l’origine di questo male. Al contrario, quel male che si racconta potrebbe essere ovunque perché ha le sue logiche e le sue regole.
5 Lo spettatore si considera come un adulto
Gomorra non ha alcun fine pedagogico: non ha “un messaggio”, ma considera lo spettatore come un adulto, non gli fa sconti, non gli dice mai “questo male finirà”. Nessun personaggio si redime, non esiste consolazione. Non ci sono i buoni. E questo significa smontare la retorica della rappresentazione della camorra o della mafia dove c’è sempre l’eroe buono che la combatte. Marco D’Amore, nella serie “Ciro L'Immortale”, ha una moglie e una bambina che ama sinceramente, ma è una bestia sanguinaria con cui non si può empatizzare. Allo spettatore non viene risparmiato niente. Ed è tipico della grande serialità non considerare lo spettatore come un bambino.
Sul numero di giugno di Vita Magazine Daniela Cardini approfondirà gli altri aspetti che spiegano il grande successo internazionale della serie.
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