Famiglia
Se il bambino diventa un nemico
A Roma il quartiere Eur che si rivolta contro la villa per i bimbi figli di carcerati, a Milano il condominio che raccoglie le firme per cacciare l’asio nido e un mercato che sempre più privilegia turismo e ristorazione childfree. Ne abbiamo parlato con Francesca Danese ex assessore alle Politiche sociali e Abitative del Comune di Roma
La "no kids zone" è ormai una tendenza sempre più diffusa a livello globale, nata negli Usa sull'onda del libro della due volte mamma Corinne Maier, "Mamma pentita, No Kid. Quaranta ragioni per non avere figli", ed arrivata in Europa grazie alla furba intuizione di alcuni imprenditori pionieri, che tra i criteri di selezione della clientela di ristoranti e hotel qualche anno fa hanno cominciato a inserire un bel “Vietato l'ingresso ai bambini”.
In Italia, secondo l'Ocse, il 24% delle donne nate nel 1965 non ha avuto figli e, secondo gli studiosi del progetto europeo "Families and Societies", non c'è necessariamente una causa materiale dietro questa scelta. Non siamo più, insomma, quel Paese "family oriented" che eravamo 30 anni fa. "Da noi nessuno lo vorrà mai ammettere, ma garantisco che nei locali più trendy il bambino non è mai ben visto. Ricordo quando a Massimiliano Ossini fu impedito di entrare al Coast Music Bar di Porto Cervo all'ora dell'aperitivo perché era in compagnia dei figli piccoli", raccontava in un’intervista a La Repubblica qualche giorno fa Roberto Piccinelli, autore dell'annuale Guida al piacere e al divertimento. Esempi italiani del no kids ce ne sono e sono altisonanti: l'hotel Mont Blanc in Valle d'Aosta, l'Alpin Garden in Val Gardena, il Palazzo Hedone a Scicli, provincia di Ragusa, l'Antico Casale di San Gimignano o la Scalinatella di Capri. Ma anche il Casale Belvedere in Toscana, l'hotel Stella Maris Levanto in Liguria, Il Capanno nelle Marche, e si trova persino qualche stabilimento, come il Florida Beach Club
sull'Argentario. È di queste ore la notizia che un condominio in via Anfossi 36 a Milano, attraverso una raccolta di firme, ha ottenuto lo sfratto dell’asilo “La locomotiva di Momo”. A Roma invece la storia è ancora più incredibile. «Nel maggio 2015, su segnalazione della magistratura, destinai ad uso sociale due ville, una in Via Algeria e una in Via Kenya, molto belle senza alcun bisogno di interventi di manutenzione e sottratte alla mafia», racconta l’allora assessore alle Politiche Sociali e Abitative del Comune di Roma, Francesca Danese.
«Immediatamente decidemmo con il ministro Orlando che Roma dovesse essere la prima città in Italia a dare attuazione alla Legge 21 aprile 2011 n. 62 che permette ai minori figli di detenute di stare, fino al compimento del sesto anno di vita, in strutture alternative insieme alla madre.
Dopo un iter burocratico che ha portato a raccogliere intorno ad un tavolo tutti gli attori coinvolti, compreso il Dap, destiniamo alla struttura 6 bambini dagli 0 ai 3 anni con le loro mamme. Il tutto a costo zero per la comunità , grazie al sostegno di Fondazione Poste Italiane e al lavoro di alcuni detenuti che si occupa della manutenzione degli immobili e del verde».
Il quartiere, l’Eur, però non ci sta. Si forma un Comitato che protesta contro l’iniziativa e insinua che ci siano delle irregolarità. « La verità è che non vogliono avere queste persone vicino. È un quartiere moto ricco, con ville bellissime. Hanno cambiato versione sul perché della loro protesta diverse volte. Prima dicevano che era irregolare il nostro lavoro, poi che si sarebbe svalutato il valore degli immobili. Poi che hanno paura che girino persone poco per bene. La mia conclusione è che queste persone, questi bambini, creino loro fastidio». Ed è una conclusione ragionevole, almeno stando ai numeri dell fenomeno degli spazi childfree.
Danese però non ci sta: «È vergognoso. Ho sentito del palazzo milanese, è una situazione diversa ma è grave allo stesso modo. Firmiamo gli accordi con l’Onu per l’infanzia, parliamo di diritti e poi siamo incapaci di accogliere il futuro. Che segnale stiamo dando?». Anche perché non si tratta solo di cittadini comuni. Tra i contrari alla villa romana figura anche Renato Brunetta, che ha addirittura presentato un’interpellanza parlamentare a riguardo e auspicato di mettersi a capo del Comitato.
«Molte amministrazione locali parlano di città a misura di bimbi», continua Danese, «Forse servirebbe più attenzione. Ormai trattiamo i bambini come i cani. Gli ultimi, i deboli, e i bambini sono deboli, vengono emarginati. Si vuole tenerli lontano. Questo è un fatto di una gravità assoluta. Che deve essere subito fermato e debellato. La solidarietà fa parte integrante del nostro Dna, un patrimonio che dobbiamo proteggere e conservare».
Per Danese c’è poi un altro dato da non dimenticare: «Associare ai bambini l’idea di fastidio è agghiacciante. Stiamo arrivando a considerare i figli un problema, un fastidio mal sopportato. E che succeda in una zona molto ricca dimostra che non è una questione legata ad un tema economico o di classe sociale. Forse dobbiamo rivedere i motivi per cui l’Italia è ormai a crescita demografica zero».
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