Mondo
Mario Caligiuri: «Nei sistemi democratici la politica non decide quasi nulla»
Chi decide se la politica non decide più niente? Ne parliamo con il professor Mario Caligiuri, autore con Giorgio Galli del volume "Come si comanda il mondo", che verrà presentato domani al Centro Culturale di Milano
di Marco Dotti
La politica, insegnava Ulrich Beck, «non è più l'unico luogo, e nemmeno quello centrale, dove si decide il futuro della società». Per il sociologo tedesco, che ne scriveva alla vigilia del crollo del Muro del 1989, le istitutizioni politiche stavano per diventare «amministratrici di uno sviluppo che non hanno pianificato né sono in grado di strutturare, ma che non di meno devono in qualche modo giustificare».
Il problema – osservano lo studioso di intelligence Mario Caligiuri e il decano dei politologi italiani Giorgio Galli, che ne scrivono nel loro Come si comanda il mondo (Rubbettino 2017), che verrà presentato domani, martedì 4 dicembre, alle 18,15 al Centro Culturale di Milano in Largo Corsia dei Servi, n. 4 – non è la ribellione delle élites, il ribaltamento della scala sociale e di valori, la redistribuzione dei poteri o la scomparsa della distinzione fra destra e sinistra. Il problema è molto più profondo. La politica è stata neutralizzata. Siamo al suo grado zero. Ne parliamo con Mario Caligiuri, professore ordianario di Pedagogia generale nell'Univesità della Calabria, presidente della Fondazione Italia Domani.
Professor Caligiuri, se la politica non più l'unico luogo dove si decide il futuro della società, che cos'è?
La narrazione e la rappresentazione in cui ci troviamo immersi, narrazione sostenuta dai media, è che il potere prevalente, oggi, sia quello espresso dalle istituzioni democratiche. Mentre, effettivamente, non è così. Nei Paesi democratici, la politica non è più centrale. Nei Paesi non democratici, al contrario, la politica conta ancora e ha un ruolo centrale. La politica conta in Cina, conta in Russia, conta in Arabia Saudita, conta in Turchia. Mentre in democrazia, non c'è più equivalenza tra potere politico ed economico.
Il libro Come si comanda il mondo è del 2017. Nel frattempo, sono successe molte cose: su tutte, l'intensificarsi attraverso il sistema delle fake news di una disinformazione sempre più sistemica…
Tutto ciò ha confermato le nostre analisi. Nel libro, parliamo di una società della disinformazione: ci siamo arrivati.
L'ascesa del cosiddetto populismo è un altro fattore emergente, che è stato letto anche come ribellione delle élites…
Non è una ribellione delle élites, ma una reazione alla perdita di potere degli Stati. La reazione è quella di sobillare le masse, ma sono tutti rimedi inefficaci ed estemporanei perché non colgono la natura del problema. Si perpetua un potere politico che non incide, quindi si fa solo l'interesse di chi si muove sulla scena politica ma i rapporti di forza non mutano. Il populismo è un pretesto elettorale che non incide sui meccanismi di fondo, tutt'altro: si accentuano i meccanismi di fondo. Il populismo è la risposta temporanea a un problema strutturale che mostrerà presto i propri limiti.
A questo punto, che cosa amministra la politica? Si è ridotta a manutenzione del consenso?
Esattamente. È un meccanismo che preme su un voto emotivo, che oggi c'è ma domani svanirà. Un punto, tra l'altro, che conferma la teoria di Moisés Naím secondo cui il potere è oggi facile conquistarlo, ma è ancor più facile perderlo e ancor più difficile mantenerlo. Questo per il potere politico, perché il potere economico è più stabile.
La superclasse economica al potere ha una sua stabilità e una capacità di lavorare sul lungo periodo.
Non dipendende da elezioni, ma da cooptazioni. E le elezioni sono volatili, la cooptazione no. C'è bel libro di Daniel Bell, The China model, che spiega come i sistemi democratici non siano in grado di produrre élites efficienti, quindi non fanno che andare su surrogati di élites.
Così si va a sbattere…
Nel libro avanziamo alcune ipotesi di correzione, tra le altre cambiare alcune regole monetarie internazionali e eleggere i consiglieri di amministazione all'interno delle imprese pubbliche. Ma ciò che riteniamo fondamentale è il controllo delle élites finanziarie da cui dipende la sopravvivenza della democrazia. Perché se la politica è debole, non è in grado di controllarla. Quindi bisogna dotarsi di altri strumenti.
I Laburisti inglesi, alcuni giorni fa, hanno avanzato un'altra ipotesi: permettere a dipendeti e lavoratori delle aziende di una certa dimensione di votare sulle retribuzioni dei supermanager… Cosa ne pensa?
È una proposta ammirevole sul piano teorico, ma di difficile applicazione. Quindi velleitaria e massimalista. Credo che in questo difetto di concretezza sia una proposta tipica del socialismo massimalista: giusta in teoria, ma inapplicabile.
E ancora una volta siamo tornati al punto di partenza: assenza di politica, ossia di azione incisiva.
Siamo tornati a quel punto perché non vogliamo capire che nei sistemi democratici, la politica non c'è più. C'è nei sistemi autoritari: è la realtà. Se la politica è indirizzo, allora chi indirizza? Putin indirizza, Xi Jinping, Erdogan indirizza…
E Giuseppe Conte?
Deve ancora capire dove si trova.
Donald Trump?
Trump si diverte. Utilizza il sistema, cavalca la rabbia dei cittadini.
Ma è uno strano ibrido, è parte della superclasse economica ma è anche parte dello show politico…
Certamente, perché ha capito che è tutto show e che la politica è tutta rappresentazione, ma la sostanza non c'è. Per cui Trump, paradossalmente, rappresenta la realtà. Donald Trump è la rivincita della realtà, rispetto alla narrazione che i democratici avevano portato avanti. È un grande attore, in un grande show.
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