Non profit
La misurazione dell’impatto sociale è la via per il nuovo Terzo Settore
Il sottosegretario del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali Luigi Bobba, a conclusione del Forum 2016 della Fondazione EY, Italia Onlus è intervenuto spiegando «la ricchezza di una comunità non è riducibile al Pil né riassumibile dentro al profitto che si genera. C’è un “profitto” che ha altri criteri e modalità».
«Non tutto ciò che può essere contato conta, e non tutto ciò che conta può essere contato», citando Albert Einstein, il sottosegretario del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali Luigi Bobba, a conclusione del Forum 2016 della Fondazione EY Italia Onlus, (“Generare impatto sociale: misura, progetti, alleanze per una nuova economia”, svoltosi a Roma), conferma l’importanza della sfida, ma anche le difficoltà espresse, dal panel di esperti “sul campo”, nel capire cosa significhi misurare oggi il valore che si produce nel sociale.
«Ci sono tanti elementi che difficilmente possono essere sintetizzati in un mero numero. Ma il lavoro di riforma che si sta facendo con la legge Delega di Riforma del Terzo settore (in discussione per la terza – e forse definitiva – approvazione alla Camera, dopo la discussione al Senato), va nella giusta direzione», ha detto Bobba. «Il tema della misurazione dell’impatto sociale, potrebbe apparire tecnico, ma evoca una questione di fondo», sostiene il sottosegretario, «che va al di là della misurazione. Le esperienze raccontate mettono in discussione un paradigma: cioè se la ricchezza di una comunità sia riducibile al Pil, o se invece non abbia bisogno di essere misurato con criteri di riferimento ben più larghi, tali da far percepire che anche il destino dell’azione economica e imprenditoriale non è unicamente riassumibile dentro al profitto che si genera, ma c’è un “profitto” che ha altri criteri e modalità».
«Ecco allora che la scommessa della legge è anche quella di puntare su forme di contaminazione, d’ibridazione tra i diversi attori, nel quadro di una società triangolare tra pubblico, privato, e Terzo settore. Chiave delicata della legge, (contestata a destra come a sinistra) è quella delle “Imprese sociali”, appunto un ibrido, ma con l’originalità precipua di produrre ricchezza e insieme valore sociale».
«Con la Legge delega sul Terzo settore», inoltre, che introduce per la prima volta il tema dell’impatto sociale, «si vuole evidenziare, com’è scritto all’articolo 7, che le verifiche e i controlli delle istituzioni pubbliche, introducono da un lato i criteri d’identificazione del perseguimento degli interessi generali; dall’altro ci siamo domandati se proprio quei confini non vadano allargati, purché rimanga quel principio che questi soggetti svolgano effettivamente attività di interesse generale». «E da cosa lo verifichiamo? Lo verifichiamo dai beneficiari, dalla coerenza di queste attività con la configurazione giuridica e lo verifichiamo proprio dall’impatto sociale, che generano nella comunità di riferimento».
«È importante questa definizione della Carta d’identità», sostiene Bobba, perché in questi ultimi tempi accanto a soggetti virtuosi si sono «insinuati fenomeni opachi di opportunismo strumentale di utilizzo per avere regimi fiscali più favorevoli per soggetti che difficilmente potremmo definire che svolgono attività di interesse generale». C’è anche la necessità, non solo per le istituzioni, ma anche per il cittadino, di sapere chi c’è dietro una realtà associativa, ma non sa a chi rivolgersi, in modo accessibile, trasparente e veloce: «per questo – afferma l’esponente de governo – vogliamo presto realizzare il Registro unico delle associazioni di Terzo settore senza cancellando la molteplicità delle».
«E infine: all’interno di questo trovare anche le forme con cui differenziare la meritevolezza di alcune facilitazioni e di sostegno. Una differenziazione che già esiste, ma per comparti e non sempre le varie leggi si “parlano” tra loro. Al governo stiamo creando un insieme di strumenti (vedi il Fondo rotativo per gli investimenti) per far sì che queste realtà innovative, tipo le sturt up innovative a vocazione sociale, possano decollare. Perché nel campo dei bisogni sociali ci sono bisogni difficilmente solvibili attraverso il mercato, bisogni per cui non c’è una domanda pagante. Allora credo che per rispondere a questi bisogni come a tanti altri (vedi l’integrazione dei migranti), c’è bisogno di trovare strade e soluzioni nuove che mettano in campo altri soggetti in grado di generare innovazione».
È stata una preziosa mattinata di riflessione, tappa di un’interlocuzione tra società civile, fondazioni, università, enti locali, imprese e governo, percorso consolidato, e che il ministro ritiene ancora da confermare e consolidare ancor più in sede di definizione dei decreti attuativi della Delega.
Per tentare di capire come «innovare e valorizzare le opportunità disponibili, per aumentare quelle capacità di lettura per capire i bisogni, e strutturare i processi, anche grazie alle innovazioni tecnologiche, a fronte di una progressiva e drastica riduzione delle risorse» (Donato Iacovone, amministratore Delegato di EY Italia).
E anche cercando la strada per «imparare a scardinare quell’incapacità del Pubblico di capire cosa sia veramente un Terzo settore maturo, non un mero tappabuchi di bisogni», è la provocazione di Raffaella Pannuti, presidente Fondazione Ant.
Come? Due, per esempio, i suggerimenti che vengono da attori completamente diversi: quello del Ceo di Banca Prossima Marco Morganti: «Incentivando le aggregazioni, insieme è la parola chiave, e premiando la capacità delle imprese di rinunciare a quote di profitto, a patto di accesso ai servizi per un interesse maggiore», e quello suggerito (tra gli altri) da Vincenzo Linarello presidente del Gruppo Cooperativo Goel, che dalla Calabria ormai esporta prodotti di qualità nei settori tessile e agricolo, nel mondo: “facendo capire in un territorio come il nostro che l’etica in modo concreto può essere conveniente e vincente”. Generare impatto sociale positivo, allora «è possibile quando Profit, No Profit, Pubblico e Privato fanno sistema e innovazione».
17 centesimi al giorno sono troppi?
Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.