Famiglia

Dolce attesa, paga amara.

Gran parte dei Paesi occidentali garantiscono il 100% del salario alle donne in maternità, L’Inps invece copre solo l’80%. Ma solo a chi ha un lavoro dipendente.

di Giampaolo Cerri

«Caro presidente Bilia, faccia un giro in Vietnam, Marocco, Filippine, Brasile. Scoprirà che gli enti previdenziali di quei Paesi corrispondono alle donne in congedo per maternità una percentuale più alta di quella pagata dal suo istituto». Ecco il testo di una lettera che le italiane potrebbero inviare al presidente dell?Inps. Una ricerca del patronato Inca-Cgil su dati dell?Organizzazione internazionale del Lavoro (Oil) svela infatti che la previdenza italiana, sotto questo aspetto, viene dopo quelle di Paesi in via di sviluppo come quelli ricordati prima. Lo studio prende in esame la tutela della maternità nei 152 Paesi che hanno sottoscritto la convenzione internazionale dell?Oil sulla protezione della maternità. In base ad una convenzione del 1952, infatti, i Paesi aderenti si impegnano a concedere alle donne lavoratrici un periodo minimo di 12 settimane di congedo anche se, da tempo, viene raccomandata l?aumento a 14, periodo che è già obbligatorio nei Paesi dell?Unione europea in base ad una direttiva del 1992 (la n. 85). La copertura minima richiesta corrisponde a 2/3 del salario insieme alla copertura integrale delle spese sanitarie. Come spesso accade, in tema di diritti, fra enunciazione ufficiale e l?applicazione c?è di mezzo il mare dell?arbitrio in cui migliaia di donne e madri affondano ogni giorno. Un dato a cui l?Oil guarda con preoccupazione visto il ruolo crescente che la popolazione femminile del mondo va assumendo nelle economie domestiche: 30 famiglie su 100 nel mondo sopravvivono infatti grazie al lavoro e al reddito delle donne. In India, ad esempio, circa 60 milioni di persone dipendo quasi esclusivamente dal salario che le mogli-madri riescono a portare a casa. Negli Stati Uniti ed in Europa ormai le donne lavoratrici che contribuiscono al reddito familiare sono ormai il 50%. Secondo le previsione dell?organizzazione ginevrina entro una decina d?anni o poco più il 70% della popolazione femminile del mondo si troverà a dover coniugare il ruolo di madre e quello di moglie con quello di lavoratrice. Dal rapporto emerge che su 119 Paesi concedono ufficialmente le 12 settimane prescritte. Sessantadue Paesi accordano le 14 settimane o periodi superiori mentre ben 31 Paesi sono attestati su periodi inferiori ai minimi.Fra i Paesi più generosi troviamo alcune repubbliche dell?Europa orientale come la Repubblica Ceca e quella Slovacca, che accordano 28 settimane, la Croazia, con 6 mesi e 4 settimane, l?Ungheria con 24 settimane. Le donne della Federazione russa possono invece contare su 22 settimane. Alle italiane spetta, com?è noto, 5 mesi (20 settimane): due precedenti e tre successivi la nascita del bambino. Un trattamento che ci colloca al quarto posto in Europa, ma comunque, se ci può consolare, superiore a quelle degli Stati Uniti (che è solo di 12 mesi). Ma la posizione italiana non è altrettanto buona per quanto riguarda la retribuzione della donna in congedo. Senza tenere conto delle integrazioni salariali previste dai contratti, l?Inps paga alla lavoratrice in maternità l?80% della retribuzione lorda. Secondo la ricerca della Cgil pagano invece il 100% del salario gran parte dei Paesi occidentali, tra cui Germania, Austria, Francia, Lussemburgo, Spagna e Danimarca. E pagano comunque una percentuale più alta dell?Inps anche Algeria, Marocco, Brasile, Filippine, Cuba e Vietnam. Infine, le lavoratrici autonome e le casalinghe, (recentemente ammesse anche nel nostro Paese ai benefici di legge da un recente provvedimento della ministra Livia Turco che accorda loro 200.000 lire al mese per cinque mesi), sono sempre di più. In alcuni Paesi tra cui Slovacchia, Portogallo, Finlandia, Tunisia, il trattamento di queste madri è analogo alle altre lavoratrici dipendenti.


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