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Il Papa ai profughi: «Perdonateci»

Francesco, dopo il viaggio a Lesbo, torna sul tema dei migranti, in un video fatto in occasione del 35esimo anniversario della fondazione del Centro Astalli. «Trattati come un peso, un problema, un costo, siete invece un dono»

di Vittorio Sammarco

«Ognuno di voi, rifugiati che bussate alle nostre porte ha il volto di Dio, è carne di Cristo. La vostra esperienza di dolore e di speranza ci ricorda che siamo tutti stranieri e pellegrini su questa Terra, accolti da qualcuno con generosità e senza alcun merito». Il saluto di papa Francesco, in un video messaggio in occasione del 35° anniversario della fondazione del Centro Astalli (il Servizio dei gesuiti per i rifugiati in Italia), alla presentazione del quindicesimo Rapporto Rifugiati 2016, è un forte incoraggiamento a continuare con coraggio sulla strada nata dalla visione profetica del padre Pedro Arrupe.


Papa Bergoglio si rivolge con calore agli ospiti del Centro: «Troppe volte non vi abbiamo accolto! Perdonate la chiusura e l’indifferenza delle nostre società che temono il cambiamento di vita e di mentalità che la vostra presenza richiede. Trattati come un peso, un problema, un costo, siete invece un dono. Siete la testimonianza di come il nostro Dio clemente e misericordioso sa trasformare il male e l'ingiustizia di cui soffrite in un bene per tutti. Perché ognuno di voi può essere un ponte che unisce popoli lontani, che rende possibile l’incontro tra culture e religioni diverse, una via per riscoprire la nostra comune umanità». E il Centro Astalli rappresenta proprio questo ponte, esempio concreto e quotidiano di «un percorso che si fa sempre più necessario, unica via per una convivenza riconciliata».

Lo dicono i numeri, innanzitutto: nel 2015 sono state 36.000 le persone che hanno usufruito dei servizi delle 8 associazioni del Centro diffuse in Italia (21.000 accolti a Roma); aiutate da 554 volontari e 49 operatori; che hanno distribuito 67.780 pasti (circa 250 persone di media al giorno); 668 (272 a Roma) le persone ospitate nei centri di accoglienza; 620 le vittime di tortura e violenza; ben 23.737 gli studenti incontrati nell'ambito dei progetti per informare e sensibilizzare sulle tematiche d’integrazione, discriminazione e coesione sociale. I costi: 2.800.000 euro, un quarto dei quali garantiti da risorse private, "dato che evidenzia la necessità continua di reperire risorse", dice P. Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli.

Che nel presentare il rapporto non dimentica chi non ce l’ha fatta, chi, come nelle ultime ore, continua a morire nel Mediterraneo, nonostante l’appello proprio del papa, a fare in modo che non accada mai più: "Orrore e sgomento, ma anche rabbia e dolore. Oggi trovare le parole è una sfida titanica" , di fronte alle oltre 400 nuove vittime dei viaggi della paura e della speranza.

Che continuano a crescere: nel 2015 il numero di rifugiati approdati nel nostro Paese è stato consistente (153.842 al 31 dicembre). In Italia arrivano soprattutto dall'Africa e in misura minore dal Medio oriente (Pakistan, Afghanistan, Iraq). Le richieste di protezione sono state 83.970, in aumento di circa 20mila rispetto al 2014, più del 30%. Sempre di più (e meglio) vengono distribuiti su tutto il territorio italiano, anche al Nord. Sottolinea inoltre il rapporto che "dopo l'estate, gli effetti del cosiddetto "approccio hotspot" previsto dalle decisioni del Consiglio d'Europa hanno portato, specialmente in Sicilia, a crescenti difficoltà nell'accesso alla protezione: centinaia di persone in seguito ai cosiddetti "respingimenti differiti" sono state abbandonate senza assistenza.”

Altro dato negativo: si è registrato un rallentamento rispetto al previsto ampliamento del sistema Sprar (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati). Motivi: “Per il timore di perdere consensi, gli amministratori dei comuni hanno diminuito la propria disponibilità all'accoglienza”. Ancora: i percorsi verso l'autonomia restano ardui e fragili, specialmente per i più vulnerabili, cioè quelli già segnati dalle ferite, le vittime di torture, ad esempio, le donne sole con bambini, che, paradossalmente, "rischiano di rimanere fuori dall'assistenza e di non trovare risposte adeguate alla complessità dei loro bisogni”. In più si aggiungono i disagi causati dalle lentezze burocratiche che non consentono di avere in tempi rapidi i documenti, per ottenere il permesso di soggiorno, o l'esenzione dal pagamento dei ticket per l'accesso alle cure sanitarie, e ciò contribuisce ad “aumentare nei rifugiati la sensazione di esclusione e d’incomprensione”.

Una nota positiva viene dalla società civile e religiosa, definita “spesso generosa e pronta a raccogliere le sfide dell'incontro con flessibilità e concretezza”: nel 2015 sono state 14 le congregazioni religiose che hanno deciso di aprirsi all'accoglienza dei rifugiati e altri 9 si stanno preparando, dopo aver ospitato 68 persone di 19 paesi diversi.

“Una realtà italiana di eccellenza”, l’ha descritta il presidente del Senato Pietro Grasso nel suo saluto iniziale, apprezzandone il lavoro enorme ed encomiabile “profuso dalla prima accoglienza fino all’attività di sensibilizzazione su tutto il territorio nazionale, nel tentativo di costruire una società realmente inclusiva e che io condivido pienamente”.

Dobbiamo rassegnarci, non sarà un'emergenza, sarà un fenomeno che ci accompagnerà per decenni, è lo stesso filo conduttore che ha attraversato il pensiero dell’ex Presidente del Consiglio Romano Prodi, che ha tracciato un quadro assai allarmante del futuro del continente alle nostre porte, l’Africa, di gran lunga più giovane della vecchia Europa, e la cui popolazione è destinata a raddoppiare, nel giro di un ventennio, senza però adeguare a questi ritmi, seppure facendo intravedere barlumi di miglioramento, il proprio sviluppo. Rimane il continente più povero del mondo (non parliamo per carità, dice Prodi, di “rinascimento africano, siamo a livelli appena equiparati agli anni ’80”), diviso e con palesi incapacità di creare infrastrutture e mercato. E per questo premono alle nostre porte.

Ecco perché per l’Africa è necessaria una politica europea – afferma Prodi – che manca non solo a livello generale, ma anche quella fatta di accordi bilaterali e parziali nel tempo con i singoli paesi africani, proposta che purtroppo è stata bocciata ai tempi in cui il politico italiano era presidente della Commissione. “Ecco, bisogna cominciare a riattivare quei rapporti, soprattutto tramite le nuove generazioni che sono d’importanza enorme per il nostro futuro”.

In questa situazione, allora, cosa dobbiamo chiedere all’Europa, si chiede Prodi? “Un’Europa ‘decente’ deve fare un grande piano di sviluppo per l’Africa: che serve anche a noi. Ci sono progetti a Bruxelles, progetti interessantissimi, che vanno presi in mano dall’autorità politica. Un piano non di aiuti, ma di infrastrutture e di investimenti, che vanno direttamente nel campo economico. Nei settori delle ferrovie, aeroporti, acqua, energie alternative, telecomunicazioni, e soprattutto la rete di sistemi scolastici e sanitari. Sono i settori che rianimano e riorganizzano l’economia di questi Paesi. Penso che l’Europa abbia l’obbligo della leadership dell’iniziativa di sviluppo africano”.

Ma, conclude Prodi, questi sono progetti di lungo periodo; nell’immediato vanno risolti i problemi che riguardano le guerre, che fanno scappare gli abitanti di quei Paesi: non c’è altro da fare, mettere di fronte a un tavolo Russia e Usa, e trovare le soluzioni adatte anche per gli stati satelliti che ruotano intorno a Siria e Iraq. “Qualcosa negli ultimi mesi si è sbloccato, non sono molto ottimista, ma si possono intravedere spiragli di luce”.

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