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Il Papa a Lesbo. Ad aspettarlo 6.300 “trattenuti”

Dal 20 marzo, data dell’accordo tra UE e Turchia sull’emergenza migranti, i profughi arrivati nelle isole greche sono trattenute, in modo del tutto arbitrario. La visita papale, nata su invito del Patriarca Bartolomeo e ispirata all’ecumenismo, racconta un’Europa cinica e valorizza l’impegno umanitario di realtà come Oxfam, Norwegian Refugee Council, Solidarity Now e Caritas, attive nell'aiuto umanitario sull'isola

di Lorenzo Maria Alvaro

«Il gesto papale, un richiamo potente alle responsabilità dell’Europa di fronte all’emergenza di chi fugge da guerre e violenze, ha un’origine e un significato ecumenici. L’invito a Francesco è stato rivolto da Bartolomeo e dal Sinodo permanente della Chiesa ortodossa di Grecia. Il segno comune della vicinanza dei capi delle Chiese cristiane ai profughi è quanto mai significativo, perché rappresenta uno degli aspetti che Francesco non manca mai di sottolineare quando parla dei rapporti tra cristiani: lavorare fianco a fianco per aiutare chi soffre, compiere insieme dei tratti di strada e di impegno comune, aiuta a progredire nel cammino verso l’unità tanto quanto, se non di più dei dialoghi teologici e delle commissioni di studio». Così Andrea Tornielli su Vatican Insider, spiega la visita che domani porterà il Pontefice sull'isola di Lesbo, simbolo di questa Europa cinica a chiusa.

Un luogo simbolo dal 20 marzo, data dell’accordo tra UE e Turchia sull’emergenza migranti. Da quella data infatti sono arrivate circa 6.300 persone nelle isole greche, e sono trattenute, in modo del tutto arbitrario, in veri e propri centri di detenzione. La maggioranza di loro ha fatto richiesta di asilo: tuttavia la Commissione Europea, nonostante l’impegno dello scorso 4 aprile a inviare nelle isole 1.500 funzionari e poliziotti per esaminare le richieste, non ha assicurato ancora il sostegno necessario al Greek Asylum Service, che può contare a Lesbo su appena una manciata di funzionari e operatori. «Dopo 7 giorni di pausa, la scorsa settimana sono ricominciati i rientri forzati dei migranti in Turchia. Ad aggravare la situazione ci sono poi le “misure di emergenza” adottate dal governo greco lo scorso 3 aprile, come le interviste rapide per determinare l’ammissibilità della richiesta di asilo. Secondo queste nuove procedure, in un solo giorno si potrà decidere il futuro di una persona o stabilire se la Turchia è un paese sicuro o meno» spiegano da Oxfam Italia.

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La visita papale però, attraverso il valore ecumenico sottolineato da Tornielli in qualche modo, identificando nella gestione europea una mancanza di umanità, sottolinea come esempio virtuoso l'impegno delle tante organizzazioni umanitarie che a vario titolo sono attive sui confini europei.

Naturalmente la Caritas (Caritas Hellas e Caritas Italiana in primo luogo) che ad oggi ha distribuito oltre 80 mila pacchi alimentari, 40 mila kit igienici; inoltre quasi 8 mila persone hanno ricevuto generi di prima necessità (vestiti, coperte, impermeabili), oltre 8 mila persone sono state accolte nei tre alberghi gestiti dalla Caritas greca tra Lesbo e Atene e più di 3 mila profughi hanno ricevuto un servizio di ascolto e orientamento. «L’accordo con il presidente Erdogan sembra aver decretato la scelta europea di spazzare via, metaforicamente, il problema dei profughi nascondendolo sotto il tappeto turco», spiegano dall'associazione.

Per Oxfam invece la speranza è che «Papa Francesco e il Patriarca Bartolomeo, come leader spirituali e morali, possano contribuire a richiamare l’Unione europea al rispetto dei suoi valori fondanti: il rispetto della dignità e dei diritti umani».

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Tutte le associazioni umanitarie denunciano che le condizioni di vita nei centri di detenzione si stanno rapidamente deteriorando, con molte persone costrette a dormire all’aperto o in spazi angusti; non ci sono procedure di identificazione per i soggetti più vulnerabili, e rimangono in stato di detenzione bambini, donne incinte, persone con disabilità. Per Jan Egeland, secretary general del Norwegian Refugee Council «è scioccante vedere in che modo l’Europa stia trattando questi uomini, donne e bambini». Gli fa eco Epaminondas Farmakis, managing director di Solidarity Now, che identifica l'obbiettivo da perseguire: «dobbiamo assicurare che queste persone possano vivere in posti aperti e sicuri per tutto il tempo che resteranno nel paese. E ancora più importante è che immediatamente si ponga fine le deportazioni verso la Turchia. A chi fugge da guerre e abusi bisogna dare la possibilità di esercitare i propri diritti, fra cui quello di asilo».

Ecco perché la visita di Francesco assume un peso determinante.

Il programma è già definito. Sarà accolto all’aeroporto di Mitilene dal premier greco Alexis Tsipras, ci sarà un momento di preghiera al porto al termine del quale Francesco, Bartolomeo e l’arcivescovo ortodosso di Atene, Hieronimus II, getteranno in mare una corona di fiori in ricordo delle vittime, quindi si recheranno in visita al campo profughi, dov’è previsto che si fermino per condividere con loro il pranzo.

La speranza di tutti è che il gesto non si limiti, come ha spiegato in un'intervista con La Stampa l'arcivescovo di Vienna, il cardinale Christoph Schönborn, (dall'Austria in prima fila nel riedificare muri e confini) ad un «mostrare il volto di un’Europa dal cuore duro». Ma che questo cuore possa essere scalfito e smosso. Per dirla sempre con Schönborn che si riesca «costruire, tutti insieme e senza lasciare soli i Paesi di frontiera o i Paesi più piccoli, un’Europa che non ruoti solo intorno all’economia, ma anche alla sacralità della persona umana» .

Foto e video a cura di Pablo Tosco


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