Famiglia

M.O. Appello all’informazione. Dibattito

Pubblichiamo il testo dell’appello, l’elenco delle adesioni e le lettere di Riccardo Bonacina ("non firmo è un appello inutile") e Giuseppe Frangi ("io firmo, nulla è inutile"). E' dibattito

di Riccardo Bonacina

Ieri mi è stato inviato un documento-appello su quanto accade in Medio Oriente, un testo. Oggi pubblicato sul “Foglio” e promosso, tra gli altri da Andrée Ruth Shammah, e firmato da autorevoli persone di diversa collocazione politico e culturale, tra cui Giuseppe Frangi direttore del settimanale Vita e tanti altri (Gabriele Albertini, Natalia Aspesi, Ilaria Borletti, Salvatore Carrubba, Eva Cantarella, Furio Colombo, Fiorello Cortiana, Piero Fassino, Carlo Fontana, Roberto Formigoni, Enrico Job, Claudio Magris, Mariuccia Mandelli, Renato Mannheimer, Dacia Maraini, Beppe Modenese, Stefano Parisi, Piera Pinto, Sergio Scalpelli, Andree Ruth Shammah, Carlo Tognoli, Umberto Veronesi, Massimo Vitta Zelman, Lina Wertmuller, Stefano Zecchi) . Io ho deciso di non firmarlo. Di seguito il testo dell?appello e la lettera che ho spedito ai promotori. L’appello “I terribili eventi che si sono succeduti in queste settimane nelle citta’ di Tel Aviv, Ramallah, Gerusalemme, Betlemme, Haifa, Nablus, Jenin, Tubas ci sembrano richiedere un diverso rapporto con l’informazione e il suo enorme valore simbolico. La spirale di violenza in cui i popoli di quelle terre sono precipitati ci impone di fermarci per non consentire all’emozione, alla rabbia e allo spirito di parte di oscurare irrimediabilmente la possibilità della giustizia, della comprensione e della pace. Pace che rientrerà appieno nel lessico comune dei popoli e delle leadership israeliana e palestinese solo se non prevarranno nell’opinione pubblica posizioni manichee e ipersemplificazioni propagandistiche che, oltre ad essere frutto di miopia e disonestà intellettuale, avrebbero il concreto esito di amplificare la spirale dell’odio e mortificare gli sforzi in atto affinché dalla guerra si torni alla politica. Occorre che lo sguardo e i pensieri si fermino per cercare di capire la complessità di un dissidio e di un conflitto le cui radici profonde si diramano in una terra nella quale ogni pietra, ogni muro, ogni strada sono rivestiti di più significati, più tradizioni, più affetti. Ci sembra oggi nostro dovere richiamare su questa complessità della storia l’attenzione dei media, di tutte le formeassociazionistiche e dei singoli cittadini, poiché crediamo che la semplificazione, ingenerando disinformazione, non aiuti a comprendere le ragioni degli uni e degli altri. Solo una misurata e responsabile trasmissione dell’informazione può infatti instaurare quel clima di comprensione capace di portare verso una ragione comune e una ragionevole e equa risoluzione dei problemi. Conoscere è il primo timido passo nella direzione dell’altro e della sua diversità. Anche se siamo tutti consapevoli che questo passo, seppur indispensabile, non togliera’ il nostro senso d’impotenza davanti alla difficolta’ e alla gravità dei problemi. Ma solo in questo modo ci sembra che i fatti assumano un significato reale e le parole un valore concreto”. La lettera di Bonacina Personalmente capisco e persino condivido lo spirito il vostro appello, ma non approvo, quasi in nulla, la sua lettera. Capisco e condivido l?impeto con cui è stato fatto, la voglia di gridare ?Smettetela con le semplificazioni?, la richiesta, anzi la preghiera agli operatori dell?informazione di non essere superficiali, di non ?prendere parte?. Ma è come se il vostro appello si rifiutasse di guardare a quello di tremendo che pur è successo, e succede. Oggi non è in questione una ?misurata e responsabile trasmissione dell?informazione?, oggi è in questione, più semplicemente, più barbaramente, il diritto stesso ad essere testimoni, il diritto stesso a raccontare. Dal settembre del 2000, quando è cominciata la seconda Intifada, i giornalisti feriti nei Territori sono stati 54!, l’ultimo proprio ieri: un cameraman della Tv francese colpito gravemente mentre si avvicinava a Nablus, zona di guerra, zona vietata a testimoni. ?Conoscere è il primo timido passo nella direzione dell?altro e della sua diversità?, scrivete. Ma è proprio questo che oggi ci è impedito, ed è forse proprio per questo che si lascia il campo alle esasperazioni e alle veline dei rispettivi uffici della propaganda militare. Da tempo, ormai, di fronte agli inviti torvi di chi invita a stare ?o di qua o di là?, ho imparato a rispondere, nella pratica, prima ancora che nella teoria, a mettermi in mezzo, a stare con chi si mette in mezzo cercando di rintracciare i fili del comune destino, delle comuni disperazioni e speranze. Quel che oggi succede in Israele e Palestina mi sembra, oltre che il frutto di troppi ed anche perseguiti errori, ormai il frutto di due società terrorizzate e perciò capaci di terrorizzare. Di fronte all?enormita di quel che è successo, e succede, il vostro appello mi sembra quasi metafisico, astratto, diciamolo, inutile. Perciò, pur stimando lo spirito del vostro tentativo, non firmo. Con stima e sicuro della vostra comprensione, Riccardo Bonacina la lettera di Frangi Ho deciso di firmare perché credo che disinnescare la logica del muro contro muro sia la necessità più grande oggi. Ho firmato perché mi fido dell?intelligenza e della qualità umana di alcune persone che hanno aderito e che non sono davvero abbonate a mettere la il loro nome ai piedi di manifesti (Claudio Magris per primo). Non ho firmato perché creda che Israele sia vittima di un complotto informativo: sarebbe ridicolo anche solo pensarlo vista la rete di solidarietà e di amicizie su cui quel paese ha sempre potuto contare. Ho firmato perché in questi giorni convulsi il fare informazione di parte (cioè non aderente ai fatti) sia un modo di favorire , l?azione dei carri armati, anche se in apparenza li si condanna. Ho firmato perché mi sembra giusto rimarcare che, per quanto il prezzo della guerra sia molto più pesante per i palestinesi, la speranza è che sia palestinesi che israeliani ripartano dal rispetto per le reciproche e così differenti disperazioni. Come ha detto Marco Revelli, sbarcando all?aeroporto di Tel Aviv, la prima cosa che si nota l?angoscia che cova in fondo allo sguardo dei soldati. Ecco, è il momento di non censurare nulla, men che meno il dolore di chi, per storia e per ragioni politiche e culturali consideriamo ?l?altra parte?. Per me Israele è l?altra parte, carica di grandezza e anche di torti. Ma questo non è ostacolo a un gesto di rispetto per il grande dolore del suo popolo. Per il resto, tutto quello che aiuta a riprendere un filo di comunicazione e di rapporti in questo momento tragico, è un piccolo balbettio di pace. Nulla di più. Giuseppe Frangi


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