Cultura

Quand’ero mortale… rischia l’immortalità

Recensione del libro "Quand'ero mortale" di Javier Marias. (di Domenico Stolfi)

di Redazione

Javier Marías, più che un narratore, è un architetto del romanzo. Lo leggi, e ci senti un lavoro ossessivo sulle strutture del racconto. Niente è lasciato al caso, ogni casella è al suo posto. Ma se è vero che queste architetture lasciano ammirati per perfezione formale, è anche vero che spesso finiscono per soffocare quella libertà espressiva senza la quale ogni opera d’ingegno si rattrappisce in un cerebrale esercizio di stile. Tuttavia nei dodici racconti di Quand?ero mortale (Einaudi, 15,49 euro), Marias allenta per una volta il controllo totale sulla materia narrativa. Il risultato è esaltante: i racconti sono divelti dalla loro fissità strutturale e presi nel vortice di un lacerante perturbamento. Sebbene questi piccoli capolavori siano stati scritti per differenti riviste e in anni diversi (dal ?91 al ?95), ci sono almeno tre temi conduttori che si rincorrono tra le pagine del libro: la solitudine, il dolore, e soprattutto la morte, colta in tutte le sue metamorfosi. Misteriosa in Il medico di notte, dove scompaiono, durante le notti parigine, i mariti di donne insoddisfatte e curiosamente malate. Emozionale e istintiva in Binocolo rotto, dove il protagonista, un guardaspalle, desidera la morte dell?uomo che protegge. Aggravata dallo strazio e dall?amarezza in Quand?ero mortale e Tutto il male torna. Brevi storie capaci di scuotere con tensioni e intrighi da genere noir, di commuovere gli animi più duri e d?appagare i sensi degli esteti dello stile.


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