Welfare
Un nuovo welfare contro l’indebitamento familiare
La povertà è spesso preceduta da una pericolosa situazione di sovraindebitamento. In Italia ci sono segnali di miglioramento, ma il fenomeno resta preoccupante. E la L. 3 del 2012 resta sostanzialmente ignorata. Ne hanno parlato istituzioni e associazioni, in un convegno organizzato dal Centro nazionale per il Volontariato e dall’associazione Pro.Seguo
Dopo ben 12 anni di continua crescita nel 2014, sulla base degli ultimi dati diffusi dalla Banca d’Italia, si è finalmente invertita la tendenza all’aumento del numero di famiglie italiane sovraindebitate. Se nel 2012 le famiglie con un carico di debiti non sostenibili erano il 5,4 per cento del totale, nel 2014 la percentuale è scesa al 5,1 per cento. Sono comunque circa 1 milione e 200 mila nuclei, un numero ancora molto elevato, soprattutto se paragonato al 2000, quando le famiglie sovraindebitate non superavano le 200 mila unità.
Di dati, delle possibili soluzioni e dello strumento innovativo della legge 3/2012 si è parlato ieri al convegno “Vie nuove per un nuovo Welfare. Prevenire e gestire il sovraindebitamento delle famiglie”, organizzato dal Centro nazionale per il Volontariato e dall’associazione Pro.Seguo, alla Camera dei deputati.
«Gli strumenti a disposizione per i nuclei familiari colpiti da questi fenomeni», ha detto in apertura Edoardo Patriarca, presidente del Centro nazionale per il volontariato, «sono diversi, vanno visti in un'ottica integrata e di progressivo ripensamento delle politiche di welfare su scala locale e nazionale. Le vie per un nuovo welfare passano dalla capacità di mettere le persone nelle condizioni di dare un positivo contributo alla soluzione dei propri problemi economici e sociali. I dati sul sovraindebitamento delle famiglie parlano di una capacità di reazione degli italiani anche nel ripensamento dei propri stili di vitaı».
Sono due i criteri per stabilire la situazione di sovraindebitamento: a) la vendita del patrimonio familiare detenuto non è in grado, nel breve periodo, di coprire tutte le passività, siano esse verso banche, finanziarie, imprese, altri famigliari o amici; b) il disavanzo tra patrimonio e passività, precedentemente determinato, è superiore al 30% del reddito annuo della famiglia.
In molti casi sono situazioni che non si risolvono se non con un intervento coordinato e concordato di transazione e ripianificazione del debito, per evitare che il debitore piombi definitivamente in una situazione di povertà irrecuperabile. Proprio come prevede la L. 3 del 2012, non ancora sufficientemente conosciuta e applicata.
E proprio su questo punto si è soffermato il sottosegretario al ministero dell’Economia e della Finanza, Pierpaolo Baretta: «Occorre definire il campo d’azione, la platea. È vero che dietro l’intenzione degli organizzatori di questo incontro c'è l’obiettivo di non lasciare sole le persone. Ma proprio per questo si apre la riflessione su chi siano i soggetti beneficiari di questo intervento, da individuare con criteri obiettivi o i meno opinabili possibili. Cronicità e vulnerabilità sono sicuramente due criteri oggettivi. Ma possono non bastare. Come si è visto dalle relazioni, il concetto d’insolvenza grave e cronica è un concetto complicato. Per capire chi ha diritto a ricorrere a questo strumento, dobbiamo trovare un’oggettività».
E allora cosa si può fare? In sintesi: «Razionalizzare l’intervento legislativo La legge è poco conosciuta perché e troppo favorevole, e quindi scoraggia i creditori. Vedi l’Agenzia delle entrate. Le condizioni non sono favorevoli per i creditori. Dobbiamo fare in modo che ci sia un riconoscimento come quello che ha riguardato le Ristrutturazioni dei mutui, che sono andate bene all’inizio e oggi funzionano meno». «Dobbiamo affrontare questo tema insieme a quello delle Leggi antiusura, dei Fondi contro la povertà che abbiamo inserito nella Legge di Stabilità», ha concluso Baretta, «Dobbiamo insistere sulla diversificazione del credito, penso al microcredito, che ha un alto tasso di solvibilità tra l’altro, penso ai Fondi pensione, al welfare aziendale. Studiare cioè percorsi che aiutino la diversificazione del credito. E infine c'è un grande bisogno di formazione finanziaria. E di educazione. Un lavoro collettivo da fare, associazioni di rappresentanza, imprese ed enti, altrimenti i singoli non ce la faranno da soli. Per quanto mi riguarda, sono a disposizione per i prossimi eventuali appuntamenti».
Il miglioramento ottenuto nel 2014 è attribuibile a una concomitanza di fattori. E’ diminuito, da un lato, il ricorso al debito, (vicino ai minimi registrati dal 2000 in poi); ma per raggiungere questo “traguardo”, le famiglie hanno dovuto rivedere il loro stile di vita, riducendo in modo significativo i consumi. Quindi a svantaggio dell'intero sistema economico. In Italia, ultimo tra i paesi d’Europa, il legislatore, con la Legge n. 3 del 2012 ha previsto strumenti per risolvere le crisi da sovraindebitamento. La legge affida al giudice non solo compiti di controllo formale sui procedimenti di transazione concordata e di ripianificazione del debito, ma anche compiti di valutazione del comportamento del sovraindebitato, con valutazioni di carattere discrezionale.
Molto importante quindi il ruolo dei giudici. Lo ha sottolineato anche il sottosegretario al ministero della Giustizia Cosimo Maria Ferri: «Potremmo stimolare la scuola della magistratura per far nascere corsi in proposito»; e poi insiste sull’importanza «di fare rete per prevenire la crisi, soprattutto sul territorio, e per quelle famiglie che spesso sembrano condurre una vita normale ma non è così”. In questa rete occorre che si siedano al tavolo tutti i soggetti interessati e autorevoli, penso ad esempio all’Agenzia delle entrate e all’Inps, perché intervenire in un settore e poi consentire che ognuno vada per conto suo, non va bene». «Dal punto di vista del mio ministero – ha concluso – c’è l’intenzione di intervenire con quei correttivi che possano consentire di migliorare la normativa e di farne un’adeguata pubblicità». «Ma bisogna – ha aggiunto – che tutti siamo capaci di rinunciare a qualcosa, ad un pezzo del proprio tornaconto, per raggiungere quegli obiettivi che la legge si prefigge».
La legge attribuisce agli Organismi di composizione della crisi da sovraindebitamento il compito di aiutare il giudice nella valutazione del caso. Per far ciò occorrono competenze che attualmente non ci sono, perché finora gli enti pubblici e i segretariati sociali dei Comuni non hanno visto nella possibilità, attribuita loro dalla legge, di costituire gli organismi di composizione della crisi da sovraindebitamento una nuova via per il welfare. In molte zone del Paese la normativa rimane sconosciuta e perciò inapplicata.
«Avere uno strumento utile per evitare il peggioramento della situazione e la caduta in povertà – afferma Donata Monti, presidente di Pro.Seguo – e non poterlo utilizzare per evidenti ostacoli tecnici e giuridici, è davvero una risorsa sprecata».
D’accordo, nei fatti, è Edi Cicchi, assessore Comune di Perugia e membro della Commissione welfare e politiche sociali ANCI: «i comuni sono molto preoccupati perché c'è una situazione di analfabetismo nella povertà. Ma penso che non sia mai troppo tardi, per invertire la rotta», ha replicato fiduciosa. «Bisogna ripartire dalla potenzialità delle persone. C'è bisogno, poi, di una maggior fluidità nel poter bilanciare una serie di risorse da un settore all'altro. È importante che si cominci a dialogare per far sì che diversi soggetti in modo equilibrato individuino le risorse esistenti in maniera sinergica. Come Anci non abbiamo ancora affrontato questo problema, ma lo faremo presto per individuare le soluzioni migliori».
«L’opportunità che abbiamo avviato con questa piccola rete è una delle risposte positive di oggi», ha concluso Donata Monti. Comuni, associazioni di volontariato e di professionisti, Enti nazionali, devono fare «un lavoro d’insieme per capire, a oggi, sulla famiglia quanti interventi sono previsti per i diversi sostegni, casa, lavoro, povertà; non sapere quanto e come lo Stato interviene, fa correre il rischio di disperdere risorse». E aggiunge: «È assurdo che questa legge che va a gestire situazioni di disagio non venga finanziata in un nessun modo. Il legislatore, a volte, è “micragnoso”. Occorre inoltre seguire e studiare questo fenomeno, costantemente. Eppure non si riesce a trovare la volontà delle istituzioni di creare un Osservatorio che possa far capire questo in maniera strutturata per capire la qualità e la quantità del problema; come c’è in Germania ed è utile per fare politiche giuste». E, infine, è «basilare la formazione, del cittadino e degli addetti ai lavori per aumentare la scarsa cultura finanziaria che spesso genera, come vediamo dalle cronache, molti problemi».
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