Famiglia

Dottor nonprofit manager con profitto.

L’annuale rapporto di Vita sui corsi di Laurea in non profit.

di Carlotta Jesi

A.A.A. cervelli non profit cercansi. In società di consulenza, grandi aziende e perfino Internet company. Rigorosamente for profit e tanto affamate di super laureati con ?anima?, da accaparrarsi ogni anno almeno il 60% dei bocconiani con una laurea in economia aziendale indirizzo non profit o un master in gestione delle organizzazioni del Terzo settore.
Davvero, ci siamo chiesti preparando la terza edizione della nostra guida alla formazione universitaria non profit, vale più di un Master in Business Administration e una manciata di stock option basta a far capitolare anche chi era tanto convinto di voler lavorare nel non profit da studiarlo all?università?

Creativi e piacenti
«Non proprio», spiega Giorgio Fiorentini, ideatore e responsabile del corso di laurea in Economia aziendale con indirizzo non profit della Bocconi, «la verità è che i nostri studenti imparano proprio i concetti su cui l?economia di mercato sta puntando: la creatività, bassa capitalizzazione e brain intensity che mandano avanti una non profit e anche la New Economy, la solidarietà vera in grado di creare squadre di dipendenti che lavorano insieme per raggiungere uno stesso fine, la responsabilità nella gestione di strumenti e politiche aziendali e non ultima una chiara visione di cosa sia davvero la sussidiarietà». Al resto pensa l?attualità: fondazioni create apposta per garantire la fusione tra banche cooperative e altri istituti di credito, una legge sull?assistenza che promuove il non profit a protagonista del nuovo sistema di welfare e un esercito anti globalizzazione che ha riportato l?attenzione sui diritti, rispetto e non sfruttamento delle risorse umane e naturali, etica dell?accesso a Internet e biotecnologie.
Risultato: i cervelloni non profit vanno a ruba. Ma purtroppo, nella maggior parte dei casi, la loro passione, conoscenza teorica e capacità relazionale, va a beneficio dell?economia di mercato. Colpa di stipendi più alti e benefit più attraenti? In tutta Europa, è vero, i dirigenti di enti non profit guadagnano molto meno che i loro colleghi impiegati nel mercato ? circa 72 milioni lordi l?anno contro i 150/200 del profit – ma per i più brillanti laureati in economia sociale non sembra essere un grosso problema.
«Certo si guadagna meno e i percorsi di carriera sono meno chiari e definiti, ma la soddisfazione è grandissima», spiega Elisabetta Botto, 26enne ?bocconiana? con indirizzo non profit ed impiegata in una società di consulenza per enti senza scopo di lucro, «se mai la difficoltà è quando domanda e offerta di lavoro non si incontrano». O, peggio, quando la domanda di lavoro non profit qualificato proprio non c?è. Possibile con un Terzo settore che oggi vale 75 mila miliardi e in cui lavora il 3,5% degli occupati italiani?
«Sì», risponde il professor Stefano Zamagni, responsabile del corso di perfezionamento in Economia della cooperazione a Bologna, «il mercato di soggetti portatori di conoscenza, veri manager d?impresa con un di più di valori e passione, è ancora tutto da creare. Da parte delle organizzazioni non profit, che devono imparare a considerare i laureati come un investimento e non una pesante voce di bilancio, da parte della politica e soprattutto delle Università». Che,a differenza degli atenei stranieri, considerano l?economia civile e senza fine di lucro una materia poco trendy su cui costruire dottorati di ricerca e approfondimenti. E i risultati si vedono: mentre la prestigiosa London School of Economics pubblica sulle pagine dell?Economist i bandi dei dottorati in ?Civil Society?, per contare i dottorandi e ricercatori in non profit italiani basta una mano.
Innanzitutto strutturando le loro offerte formative in base ai bisogni sociali e di personale non profit altamente qualificato del territorio. È il caso dell?Università di Pisa, che insieme al Centro Nazionale per il Volontariato di Lucca e Banca Etica ha aperto un Incubatore di figure manageriali per creare un?agenzia di sviluppo locale per il Terzo settore e dell?Università di Sassari, organizzatrice con Acli e ad Enaip del corso di alta formazione in Promozione e gestione delle organizzazioni del Terzo settore mirato a creare consulenti specializzati per le onp. Esperti di bilancio sociale, fundraising, marketing sociale

Boom dei corsi Fse
Con qualche anno di ritardo rispetto all?estero anche in Italia fanno capolino i primi esperimenti di distance learning sociale come il Master a distanza in Management delle Onp promosso dall?Asvi mentre fanno capolino i primi master in immigrazione e peacekeeping tenuti da diplomatici e professori di fama internazionale.
A farla da padroni, tra i corsi in non profit proposti lungo tutto lo stivale, sono comunque le lezioni e tirocini sui rapporti tra Terzo settore e pubbliche amministrazioni: come si realizza davvero la sussidiarietà? Come funzionano e si gestiscono le istituzioni, come si suddividono e gestiscono i finanziamenti?
Temi chiave per tutti i laureati e operatori del Terzo settore che da ottobre torneranno a studiare – circa 200 persone dai 25 ai 40 anni solo nei master e quasi altrettante contando i ragazzi che si iscriveranno ai corsi e diplomi di laurea non profit della Bocconi e di Forlì – gratuitamente nei corsi finanziati dal Fondo Sociale Europeo . Dal milione chiesto ai suoi studenti dall?Università di Genova al milione e 800 mila lire per studiare Economia della cooperazione a Bologna e su fino ai 2 milioni 750 mila del diploma universitario in Economia e amministrazione delle imprese cooperative della Cattolica di Milano. Sicuri che ne valga davvero la pena?
«Certo», risponde Nicolas Raffieri, bocconiano, che non lavora nel profit ma sta cercando l?impegno giusto nel Terzo settore: «quando lavoro per me faccio l?indispensabile, per gli altri invece do il massimo».

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