Welfare

Welfare, serve una riforma antispreco

Sergio Pasquinelli dell'Istituto per la ricerca sociale lancia due proposte: un reddito minimo che serva da strumento di attivazione delle risorse di individui, famiglie e comunità e una dote di cura per disabilità e non autosufficienza. Obiettivo: evitare che 12 miliardi di spesa sociale vadano a favore di individui e famiglie agiate come succede oggi

di Sergio Pasquinelli

La diagnosi è condivisa, la terapia da mettere in agenda. Il nostro welfare sociale ha gravi limiti: è iniquo, inefficace, presenta significative carenze.

Non è equo un sistema che spende, su un totale di 70 miliardi di euro l’anno per interventi assistenziali, 12 miliardi a favore di individui e famiglie agiate. Il cui reddito disponibile equivalente, ossia il reddito per ciascun componente familiare, supera i duemila euro al mese. E dove quasi la metà (il 44% per l’esattezza) dei poveri assoluti non percepiscono alcun aiuto monetario.

È inefficace un sistema che impiega stanziamenti importanti senza conoscerne l’uso che viene fatto da individui e famiglie. È il caso dell’indennità di accompagnamento, una misura per cui l’Inps nel 2014 ha speso 13,4 miliardi di euro. Con una cifra mensile di 512 euro uguale per gradi di non autosufficienza molto diversi tra loro.

Come è noto, inoltre, in Italia manca una misura universalistica di contrasto della povertà. In un Paese dove dal 2008 al 2014 la povertà assoluta è raddoppiata, con oltre 4 milioni di persone, 1 milione e 470mila famiglie, che non riescono a consumare un paniere di beni essenziali.

Le politiche sociali di oggi rappresentano l’esito frammentato e spesso obsoleto di retaggi storici e della pressione di interessi organizzati. Per correggere i limiti presenti vanno assunti come criteri guida equità ed efficacia: a uguali bisogni uguali sostegni, a maggiori bisogni maggiori sostegni. E per uno stato sociale abituato ad aggiungere senza cambiare ciò che c’è già si tratta di una sfida non da poco.

Le nostre proposte di riforma, frutto di un nuovo progetto che come ARS – Associazione per la Ricerca Sociale, in collaborazione con IRS, abbiamo condotto con il sostegno di cinque Fondazioni bancarie, saranno presentate l’8 aprile a Milano al convegno “Costruiamo il welfare dei diritti”. Riguardano il contrasto della povertà, il sostegno alla genitorialità e alle famiglie con figli, la disabilità in età giovane e adulta e la non autosufficienza in età anziana.

Serve un Reddito minimo che non è assistenza e nemmeno salario sociale, ma strumento di attivazione delle risorse di individui, famiglie e comunità. Un livello essenziale fortemente interrelato con i servizi territoriali, i Comuni, il Terzo settore, con livelli intermedi regionali e di ambito sociale che avranno funzioni cruciali di governo e di regia, nella presa in carico, nello sviluppo di programmi di inserimento.

Per la disabilità e la non autosufficienza serve una nuova misura: la “Dote di cura”, che riassorbe l’indennità di accompagnamento. Una misura che aumenti finalmente il benessere delle persone disabili e non autosufficienti in modo coerente con le loro condizioni specifiche: il suo valore economico si differenzia per gradi diversi di disabilità e non autosufficienza.

La Dote di cura dà la possibilità di scegliere tra un contributo economico senza vincoli e un voucher, ossia un budget utilizzabile per fruire di servizi pubblici o privati accreditati: nel caso degli anziani parliamo di assistenza a domicilio, centri diurni, assistenti familiari accreditate e così via. Per la disabilità in età giovane e adulta servizi riabilitativi, educativi, di socializzazione e sostegno alla vita indipendente. L’utilizzo sotto forma di voucher potrà avrà ripercussioni occupazionali importanti e in termini di emersione del lavoro di cura dal mercato nero.

Due elementi caratterizzano le proposte che discuteremo l’8 aprile.

Primo: usiamo un approccio non categoriale. Non riguarda singoli ambiti del welfare (i poveri, gli anziani ecc.) ma trasversalmente ambiti diversi. Perché la concomitante riforma in più ambiti può generare un “effetto domino” virtuoso, benefici collegati ed economie di spesa molto rilevanti.

Secondo: si tratta di una riforma non astratta. Sia in termini economici, sia e soprattutto in termini istituzionali e organizzativi. Per la prima volta infatti proposte di riforma del welfare sono accompagnate da una valutazione della agibilità dei cambiamenti proposti nei territori, della capacità di assumere e gestire funzioni e risorse che verrebbero trasferite a livello locale. Per questo abbiamo lavorato con la collaborazione di diversi contesti locali, soppesando opportunità e criticità, cercando di capire come il cambiamento di misure nazionali può fare sistema con quanto già avviene nei territori, con l’innovazione che attraversano, o con i vincoli che li frena. Cercando di capire che cosa c’è e che cosa manca e va sviluppato, sul piano delle dotazioni, delle competenze, delle prassi di lavoro, della governance degli interventi.

Nel corso del convegno verranno presentati e discussi i risultati di questa analisi, svolta in quattro regioni: Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna e Liguria.

Per il programma e le modalità di iscrizione al convegno dell’8 aprile clicca qui

Sergio Pasquinelli è project manager dell'Area Politiche e Servizi Sociali e Sanitari dell'Istituto per la ricerca sociale

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