Politica

Sinistra, riformisti in rivolta. Se solo Sergio ci ascoltasse

Sono gli esponenti lib-lab: quelli che al mercato del lavoro volevano metter mano già al tempo dei governi dell’Ulivo. Oggi la Cgil li vuole all’angolo.

di Ettore Colombo

Chi ha da perdere, nella sfida tra governo e sindacati? I riformisti. Giuliano Da Empoli, figlio di Antonio, ferito dalle Br nel 1986, e autore di Un grande futuro dietro di noi, libro sulla rivolta dei figli contro i padri, non ha dubbi: «I riformisti sono isolati perché non si pongono il problema dell?aggregazione del consenso. I governi D?Alema e Amato erano impegnati nelle technicalities, privi di slanci ideali. Patrimonio persino di un pragmatico come Tony Blair, ma non della sinistra italiana. Che, anche dopo la sconfitta elettorale, s?è rinchiusa nei suoi centri studi, chi a studiare l?authority, chi il fisco. Unico tentativo di volare alto il Libro bianco sui nuovi lavori, lanciato da Amato e Treu. Ma che subì lo stop Cgil. Che fa il suo mestiere: difendere pensionati, operai e impiegati, ma che ora ha lanciato l?Opa sulla sinistra. Se ci lasciamo scalare, però, siamo perduti. Noi riformisti, certo, ma anche i giovani, le donne, gli studenti. Tutti atipici». Giulio Sapelli, professore di Storia economica all?Università di Milano, spiega perché: «La Cgil è un esempio fuori tempo massimo di anarcosindacalismo. L?unico sindacato realmente laburista oggi è la Cisl. Vuole rappresentare solo i suoi iscritti, la Cgil no, pretende di rappresentare tutti i lavoratori. Una follia e una iattura, per la sinistra: è stato Cofferati che ci ha fatto perdere le elezioni, impedendo all?Ulivo le riforme, mica Bertinotti! E oggi la Cgil è troppo forte, la Cisl troppo debole e i Ds succubi delle loro Trade Unions». Sapelli, economista vicino alla fondazione Nuova economia-Nuova società, di due diessini riformisti, Bersani e Visco, ha appena scritto L?agire morale nell?economia: «Parla di Adriano Olivetti: ce ne fossero ancora di industriali come lui…». Ma c?è chi oggi cerca, nel centrosinistra, di ricucire i fili del pensiero riformista moderato? Sì, la fondazione che l?ex ministro Enrico Letta ha ereditato da Beniamino Andreatta, l?Arel: raccoglie politici, giuristi ed economisti e lì hanno lavorato anche Biagi e l?economista Mario Baldassarri, oggi viceministro. In nome delle riforme. «La necessità di innovare deve prevalere su quella di conservare», esorta Letta. «Bisogna riannodare i fili del dialogo, partendo dal Libro sui nuovi lavori, flessibilità e diritti». Pie illusioni?«Per i riformisti non c?è più spazio nei Ds: chi non si schiera è un ostaggio. Come D?Alema», dice Giuseppe Caldarola, ex direttore dell?Unità, in rivolta contro la linea massimalista del giornale. Ecco, appunto, D?Alema. I riformisti lamentano il suo isolamento politico come il silenzio di Giuliano Amato. Nicola Rossi, economista che lavorò con loro al governo, ha da poco pubblicato un libro-manifesto, Riformisti per forza, per reimpostare la discussione: «Le migliori riforme, mercato del lavoro e pensioni in testa, le hanno fatte i governi di centrosinistra, anche se pochi lo vogliono riconoscere. Oggi il governo vorrebbe avviare la ripresa economica con uno scontro sociale in atto. Questa è follia. Preparino gli ammortizzatori sociali, invece di intestardirsi a voler abbattere l?articolo 18 e allora sì che si può discutere di riforma e nuove regole per il lavoro». Giancarlo Bosetti, direttore della rivista Reset e liberal doc, spezza invece una lancia a favore di Cofferati: «È un riformista vero, altro che massimalista! La manifestazione di Roma lo investe di un ruolo politico, è vero, ma solo a causa del vuoto a sinistra. Per fare le riforme del mercato del lavoro c?è bisogno di una classe dirigente credibile al governo. Il sindacato deve offrire la sua disponibilità a trattare, ma di chi ci si può fidare oggi in questa maggioranza?».


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