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«Rifugiati, le cifre confermano: le politiche europee aumentano i rischi in mare»
L'Europa è di fronte alla peggiore catastrofe umanitaria dai tempi della Seconda guerra mondiale: emergono dati allarmanti da un rapporto presentato da un team internazionale a cui partecipa il sociologo Nando Sigona dell'Università di Birmingham. «In questi primi mesi del 2016 nel mar Egeo muore una persona ogni 409 profughi che si imbarcano, nel 2015 il rapporto era uno a 1049»
Anno 2016, mar Egeo: ogni 409 persone che tentano la traversata in fuga da guerre e persecuzioni, una di loro perde la vita. In tutto il 2015 l’incidenza è stata di un decesso ogni 1049 arrivi: un terzo di quanto sta accadendo ora. “Si tratta di un chiaro segno: le politiche europee di controllo delle frontiere fanno aumentare i rischi per i profughi”. Ad affermarlo è Nando Sigona, sociologo italiano dell’Università di Birmingham, con Heaven Crawley dell'Università di Coventry, alla luce di uno studio in corso sul tema (MEDMIG) portato avanti da un team internazionale con partner in Italia, Grecia, Malta, Turchia e Gran Bretagna e pubblicato nel rapporto Unpacking a rapidly changing scenario e sulla rivista The Conversation.
“Su almeno un milione di persone che hanno attraversato il mar Mediterraneo nel 2015, 3770 sono morte: la cosiddetta ‘crisi migratoria’ è di gran lunga il più grande disastro umanitario europeo dai tempi della Seconda guerra mondiale”, sottolineano Sigona e Crawley. E non stiamo parlando di “chi se ne va dal proprio Paese alla ricerca di un lavoro e quindi una vita migliore, come molti europei pensano ancora oggi: le cifre dicono che oltre il 90% degli arrivi riguarda persone che scappano da conflitti armati o dittature, in particolare il 56% dalla Siria”. Di fronte a dati del genere, appare ancora più evidente la miopia dell’azione europea, compreso il recente accordo tra Ue e Turchia che di fatto respinge i rifugiati nel mare turco, avvalendosi anche di navi militari inviate dalla Nato: “Chiudere le frontiere senza garantire loro protezione, ricollocamento o assistenza umanitaria – come, invece, impone la Convenzione di Ginevra – non fermerà di certo queste persone dal prendere la via del mare”, illustra Sigona, basandosi sulle testimonianze dirette di 600 profughi, “semplicemente aumenterà i proventi dei trafficanti, a cui queste persone faranno riferimento per raggiungere l’Europa, con un ulteriore aumento dei rischi”. Quando si mettono in viaggio, i profughi “prendono spesso decisioni al momento, a seconda della situazione e delle opportunità: se scelgono la barca dei trafficanti è perché non hanno alternative, e se i politici non partono da questo ragionamento nelle loro decisioni, ogni tentativo di risoluzione del problema è destinato a fallire”.
Se nel 2015 la maggior parte dei decessi nel mar Mediterraneo era avvenuta nella tratta tra Libia e Italia – almeno 2892 contando anche i dispersi, compresa l’enorme tragedia degli 800 morti nella notte del 17 aprile – con un drammatico rapporto di un decesso ogni 53 arrivi (“la causa potrebbe essere il minor pattugliamento delle navi di soccorso in quel periodo, dato che qualche mese prima era terminata l’Operazione Mare Nostrum e solo in seguito alla tragedia di Aprile si era potenziata l’azione dell’Agenzia europea Frontex attraverso il programma Triton”, suggerisce Sigona), il dato attuale che riguarda il mar Egeo è preoccupante per il fatto che stiamo parlando di naufragi in viaggi di sole 5-10 miglia marine e per un'altra dinamica che si sta verificando nelle ultime settimane: “è ancora presto per collegarlo al recente accordo Ue-Turchia, ma il fatto che solo dal 10 al 17 marzo ci sia stata una diminuzione del 47% degli arrivi in Grecia rispetto alla settimana precedente ma un grande aumento degli arrivi dalla Libia in Italia, del 578%, è un campanello d’allarme”. La cui conferma è arrivata nelle ultime ore: almeno 2800 arrivi sulle coste italiane, un naufragio con decine di morti al largo della città libica di Sabratha, come riporta il docente universitario di Diritto d’asilo Fulvio Vassallo nel suo blog Diritti e frontiere, e un forte aumento del numero di chiamate di SOS ricevute da Mussie Zerai, sacerdote eritreo da anni punto di riferimento dei migranti in pericolo nel prendere le coordinate delle imbarcazioni e comunicarle alla Guardia costiera per l’auspicabile salvataggio.
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