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Iraq, un conflitto senza fine tra attentati e sfollati interni

Dal novembre 2012 ad oggi la crisi irachena ha registrato un andamento quasi costante delle vittime e dei feriti. Il governatorato di Baghdad è stata la zona più colpita del Paese con 1.115 vittime civili. Solo nello scorso febbraio ci sono stati 670 morti e 1290 feriti in attacchi terroristici e scontri

di Mara Cinquepalmi

La fredda contabilità della guerra ha scritto un nuovo capitolo in Iraq: 670 morti e 1290 feriti in attacchi terroristici e scontri. Sono questi i dati registrati lo scorso febbraio dalla United Nations Assistance Mission for Iraq (UNAMI). Il governatorato di Baghdad è stata la zona più colpita con 1.115 vittime civili.

Nonostante il lieve calo rispetto al primo mese del 2016, la violenza contro la popolazione si è inasprita con attacchi kamikaze che hanno colpito contro luoghi di culto, un mercato e un funerale.

«Questo conflitto – ha spiegato Jan Kubis, il rappresentante speciale per l'Iraq del Segretario generale delle Nazioni Unite – continua a esigere un pesante tributo dalla popolazione. I civili rappresentano circa i due terzi del bilancio totale dei morti e la maggior parte dei feriti nel mese di febbraio. Questo è molto preoccupante e scoraggiante».

Dal novembre 2012 ad oggi la crisi irachena ha registrato un andamento quasi costante delle vittime e dei feriti.

L’emergenza nel Paese, però, riguarda anche la questione dei cosiddetti sfollati interni o IDP, ovvero Internally Displaced Population secondo la definizione dell’UNCHR: dal gennaio 2014 al 2 marzo 2016 ne sono stati individuati 3.344.334, di cui 557.389 famiglie. Nello stesso periodo è stato registrato un aumento nei governatorati di Ninewa, Salah al-Din e Anbar a causa delle operazioni militari in corso, mentre i governatorati di Dahuk e Diyala hanno riportato un decremento dell’ 1% (rispettivamente 2.088 e 1.098 persone) grazie ai ritorni all’interno degli stessi governatorati.


Lo scoppio della crisi a Ramadi, all'inizio di aprile nel 2015, ha causato lo sfollamento di poco più di mezzo milione di persone dal governatorato di Anbar, tra maggio e giugno del 2015.
In particolare, Salah al-Din è il governatorato che ha registrato la più alta percentuale (47%, 262.074 persone) di rientri registrati finora. Grazie poi al miglioramento delle condizioni di sicurezza anche a Ninive e a Diyala sono aumentati i rientri (rispettivamente 23% e 129,696 individui e il 21% o 114,384 persone).
Uno dei problemi degli sfollati interni è il non poter accedere ad acqua, cibo o ad altri beni essenziali.

Secondo l’ultimo rapporto trimestrale della FAO Crop Prospects and Food Situation sono trentaquattro paesi, di cui 27 in Africa, che hanno attualmente bisogno di assistenza alimentare esterna a causa della siccità, delle inondazioni e dei conflitti civili. Tra questi anche l’Iraq, dove il perdurare del conflitto ha gravato pesantemente sul settore agricolo, peggiorando ulteriormente la crisi umanitaria. In particolare, la situazione si è aggravata per le restrizioni commerciali interne e la scarsa possibilità di accedere alle scorte che si trovano nelle zone sotto il controllo dell’ISIS.

«Migliorare la sicurezza alimentare può aiutare a costruire una pace sostenibile e anche scongiurare un possibile conflitto», ha ricordato qualche giorno fa il Direttore Generale della FAO, José Graziano da Silva, intervenendo al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. I conflitti sono un fattore chiave delle crisi alimentari prolungate, dove la fame è tre volte più probabile che nel resto del mondo in via di sviluppo, mentre i paesi con i più alti livelli d'insicurezza alimentare sono anche quelli più colpiti dai conflitti.

«Sappiamo – ha aggiunto – che gli interventi che promuovono la sicurezza alimentare possono aiutare a prevenire una crisi, mitigarne l'impatto e promuovere la ripresa post-crisi. Quando la sicurezza alimentare può essere una forza per la stabilità, dobbiamo guardare al cibo e all'agricoltura come percorsi verso la pace e la sicurezza».

Promuovere lo sviluppo rurale può anche facilitare gli sforzi per costruire la pace. Una premessa fondamentale dell'Agenda per lo sviluppo sostenibile2030, adottata da tutti gli Stati membri dell'ONU lo scorso anno, è che «non ci può essere sviluppo sostenibile senza pace e pace senza sviluppo sostenibile».

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