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Siria, la piramide rovesciata degli aiuti umanitari

La maggior parte delle risorse destinate ad aiutare la popolazione siriana vanno ai rifugiati nei Paesi Ue, che sono però pochissimi rispetto ai 13 milioni di siriani che vogliono rimanere nel loro Paese ma che sono in stato di necessità. «Rovesciare la piramide non significa togliere risorse ai profughi, ma aumentare quelle destinate a chi non vuole lasciare la propria terra, offrendo un’alternativa all’emigrazione». Il progetto di AiBi per chi «non vuole andare via» dalla propria terra, nonostante i cinque anni di guerra

di Redazione

Immaginate una piramide, divisa orizzontalmente in tre strati. Al vertice ci sono i circa 800mila profughi siriani ospitati dai Paesi dell’Unione Europea. Nel secondo strato troviamo i 4,18 milioni di profughi siriani ospitati in Paesi non membri dell'Ue: sono i tanti che hanno scelto la via dell’emigrazione, via che però si sta sempre più spesso trasformando in una trappola mortale o in una nuova prigione, con centinaia di migliaia di disperati che premono sulle reti di protezione ai confini di quegli Stati europei che stanno progressivamente chiudendo loro le porte. Infine, nella base della piramide, ci sono i 6,5 milioni di sfollati interni, siriani che non hanno più una casa, un letto in cui dormire, un tetto sopra la testa, un fornello su cui scaldare un bicchiere di latte per i bambini. Ma sono ben 13,5 milioni i siriani in stato di necessità, rimasti nel loro Paese.

Pensiamo ora agli aiuti umanitari destinati alla popolazione siriana, dopo cinque anni di guerra: è ancora una piramide, ma rovesciata. La maggior parte delle risorse destinate agli aiuti umanitari vanno infatti ai profughi ospitati dai Paesi dell’Unione Europea, mentre ai milioni di persone che nonostante i cinque anni di conflitto non vogliono lasciare la propria terra e che tra mille difficoltà cercano di progettare il loro futuro là dove sono nati e cresciuti, il mondo destina pochissime risorse. Di loro il mondo sembra essersi proprio dimenticato. Sono la maggioranza ma silenziosa e invisibile ai più.

«La situazione dovrebbe essere esattamente inversa: servirebbe una piramide in cui alla maggior parte dei siriani, quelli che non vogliono lasciare il proprio Paese, venisse destinata la maggior parte delle risorse», propone Marco Griffini, presidente di AiBi-Amici dei Bambini. La sua è l’unica ong italiana partner delle Nazioni Unite in Siria: in collaborazione con Unocha (l’Ufficio Onu per gli affari umanitari) e al partner locale Shafak, AiBi ha avviato una serie di interventi di prima e di seconda emergenza nel territorio di Aleppo, dove distribuirà aiuti alimentari a oltre 3mila sfollati interni e fornirà sostegno a non meno di 12mila persone. «Rovesciare la piramide ovviamente non significa togliere risorse ai profughi, ma aumentare quelle destinate a chi non vuole lasciare la propria terra, offrendo un’alternativa all’emigrazione. Per fare questo però non sono sufficienti donazioni “spot”, occorre un aiuto continuativo, come quello che può garantire il sostegno a distanza. Per questo abbiamo proposto la campagna Io non voglio andare via», continua Griffini.

«Rovesciare la piramide non significa togliere risorse ai profughi, ma aumentare quelle destinate a chi non vuole lasciare la propria terra, offrendo un’alternativa all’emigrazione. Per fare questo non sono sufficienti donazioni “spot”, occorre un aiuto continuativo, come quello che può garantire il sostegno a distanza.

Un tassello caratterizzante dell’impegno di AiBi in Siria riguarda, coerentemente con la mission dell’associazione, i bambini. Proprio ieri sono partiti i corsi di formazione psicosociale per oltre 100 operatori dell’infanzia, che accompagneranno in maniera competente 4mila bambini oltre il dramma della guerra. Nel corso dei prossimi mesi, oltre 100 operatori che lavorano a contatto con i bambini in apposite strutture di accoglienza, tra le province di Idlib e Aleppo, verranno formati da una task force di quattro trainers, che fornirà loro le conoscenze e gli strumenti utili per aiutare migliaia di minori ad affrontare i traumi e le problematiche legate alla guerra. L’iniziativa si inserisce nel contesto di un progetto di “capacity building” finanziato dalle Nazioni Unite, per rafforzare le competenze di insegnanti, educatori e animatori nel nord della Siria e compensare la carenza di figure professionali in un contesto caratterizzato dalla continua emergenza e dal crescente bisogno di interventi a sostegno e protezione dell’infanzia. AiBi e Shafak, con i corsi di formazione, saranno in grado di raggiungere una dozzina di strutture che ospitano in totale oltre 4mila bambini, di cui molti sfollati. Gli operatori – una volta formati – realizzeranno delle attività ludico-terapeutiche, che si svolgeranno in due cicli dalla durata di due mesi ciascuno.