Welfare

mezzo secolo di assistenza senza confini.

Combattere il sottosviluppo cominciando dalla salute dei popoli. Asi, una delle prime ong, è in Africa e in Asia

di Massimo Angeli

Migliorare la salute delle popolazioni in condizioni di sottosviluppo e accoglierne gli studenti in medicina. Sono questi gli obiettivi dell’Associazione Sanitaria Internazionale, sorta nel 1954 in ambito missionario e dal ’72 organismo di volontariato non governativo per la cooperazione internazionale. Socio fondatore della Focsiv (la federazione di organismi di volontariato cristiano), l’Asi ha partecipato all’elaborazione di ogni legge sulla cooperazione prodotta nel nostro Paese, ricoprendo un ruolo di primo piano. In Italia informa e sensibilizza l’opinione pubblica sullo sviluppo, prepara e invia personale medico e paramedico nei Paesi meno sviluppati di ogni continente, accoglie studenti in medicina extracomunitari, fornendo borse di studio. Attualmente nella sede dell’Aventino sono accolti 15 studenti, provenienti da Zimbabwe, India e Perù, ma non meno di 150 hanno la laurea, o il diploma di infermiere professionale, grazie all’Asi. Gruppi di appoggio, che promuovono le iniziative dell’Asi e raccolgono fondi, operano a Foggia, Ferrara, Modena, Lecco e in più quartieri della capitale. «L’associazione collabora con organismi internazionali, enti pubblici e privati che desiderano costruire un mondo più giusto e solidale», spiega Rosalba Sangiorgi, medico e presidente dell’Asi. «Non si può pensare di risolvere i problemi sanitari del Terzo mondo se guerre, carestie e ingiustizie continuano a flagellare questi Paesi». Ecco le campagne contro le mine, per dare un futuro ai bambini di strada, per l’emancipazione della donna o, ancora, quelle per la cancellazione dei debiti del terzo mondo. Oggi l’Asi opera in India, Zimbabwe ed Eritrea, ma in passato progetti sanitari sono stati realizzati in Zambia, Uganda, Zaire, Kenya e Malawi, da dove ci si è ritirati quando i locali sono riusciti a gestirsi in modo autonomo. Si tratta di piccoli progetti, integrati nei piani di sviluppo nazionali, anche se nei 46 anni di vita del gruppo ne sono stati realizzati un’ampia varietà: ospedali rurali, dispensari, centri di cura, corsi per animatori sanitari, campagne di lotta contro le malattie più comuni, vaccinazioni, lezioni di puericultura, igiene, lotta contro la fame, difesa di mamme e bimbi. Oltre centomila persone fanno riferimento al St. Albert’s Hospital di Centenary, che si trova nella Valle dello Zambesi, tra Zambia e Zimbabwe. Unica struttura nel raggio di 100 chilometri ha nel team internazionale che la guida cinque medici laureatisi con l’aiuto dell’Asi. Quasi 200 mila persone si rivolgono all’ospedale di Shimoga, nel sud dell’India, dov’è c’è un dispensario per la lebbra e la tubercolosi e, da qualche anno, pure un reparto di maternità. «Il miglioramento della sanità nel terzo mondo incontra problemi grandi e complessi», dice ancora la Sangiorgi. «Le multinazionali si ostinano a non cedere i brevetti per la produzione di medicinali e indirizzano la ricerca verso gli obiettivi che più gli aggradano. Questo quando sette milioni di bambini sotto i cinque anni muoiono, ogni anno, per banali diarree e semplici malattie respiratorie. Quando 270 milioni di persone, ogni anno, contraggono la malaria perché non c’è un vaccino che le case farmaceutiche non hanno interesse a brevettare. Cambiare questo stato di cose è un dovere di noi tutti». E tra gli ultimi progetti messi a punto dall’Asi in Africa, ecco “Una speranza per domani”. In quello che in pochi anni è diventato uno degli ospedali più frequentati della Valle dello Zambesi, il St. Albert’s Hospital di Centenary (Zimbabwe), il gruppo sta realizzando un progetto agricolo in appoggio alla struttura sanitaria, che si propone di raggiungere l’autosufficienza alimentare del St. Albert’s e di avere una fonte di finanziamento per l’ospedale. «Le ingenti cifre che se ne vanno per l’acquisto di cibo costituiscono un grosso problema per l’economia dell’ospedale», spiega la presidente dell’Asi. «In questa maniera pensiamo di disporre di maggiore quantità di alimenti a un prezzo inferiore». Il progetto prevede l’istituzione di un’azienda agricola, l’acquisto di un terreno e di macchine agricole, la creazione di allevamenti di conigli e maiali e attività di educazione e promozione per una corretta alimentazione. Finanziato dall’Unione europea, il progetto avrà una durata iniziale di tre anni: al termine l’azienda agricola dovrebbe essere in grado di raggiungere l’autonomia. “Solidarietà donna” è l’altro progetto che sta per partire nel St. Albert’s Hospital, in modo da ridurre la forte mortalità materna attraverso l’istituzione di un centro di controllo e soggiorno per le gestanti e attività di promozione della donna. (Massimo Angeli)


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