Mondo
Eldorado, la crisi umanitaria dei migranti, ieri e oggi
L’ultima opera del regista svizzero Markus Imhoof è un documentario sulla crisi dei rifugiati, in cui si intrecciano la storia del regista e il viaggio dei milioni di migranti che attraversano il Mediterraneo. Eldorado, presentato al Film Festival Diritti Umani Lugano, è candidato agli Oscar nella categoria: miglior film in lingua straniera. A Lugano Markus Imhoof ha ricevuto il Premio Diritti Umani per l’autore, istituito per ricordare il 70mo anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani
«Durante tutto il corso della storia ci sono sempre stati rifugiati. Venivano da posti che erano più vicini a casa nostra», dice il regista Markus Imhoof (Winterthur, 1941), che prima di dedicarsi alla sua ultima opera, Eldorado, un documentario che nasce dalla sua esperienza personale e affronta l’attuale crisi umanitaria dei rifugiati, aveva già realizzato un film, “La barca è piena” (1981), sulla negazione del diritto d’asilo in Svizzera alle vittime di persecuzioni razziali, ambientato nel 1942.
Ora, nel 2018, 37 anni dopo “La barca è piena”, Markus Imhoof realizza il documentario Eldorado sulla crisi dei migranti, sul viaggio che devono fare i milioni di persone che attraversano il Mediterraneo, sperando in una vita migliore in Europa. Il nome “Eldorado” fa proprio riferimento a quello che queste persone vedono come il Paradiso da raggiungere, cioè il benessere delle zone ricche del continente: la Svizzera e i Paesi del Nord. Il film mostra il viaggio di chi arriva dal mare, e anche cosa succede poi ai migranti che arrivano in Italia, fino a raggiungere la Svizzera.
«Ci sono voluti 5 anni per preparare, filmare e montare questo documentario», spiega Markus Imhoof.
Nel documentario si intrecciano due storie: la storia autobiografica di Markus Imhoof e quella di tutti coloro che attraversano il Mediterraneo. «Il regista svizzero racconta una storia molto personale nel tentativo di rendere tangibile un fenomeno globale». Infatti la famiglia Imhoof, nel 1945, ha ospitato una bambina di 8 anni di Milano, Giovanna Viganò, che aveva vissuto la guerra ed era in uno stato di salute molto precario. C’era un rapporto molto forte tra lei e Markus Imhoof, che era più piccolo, aveva 4 anni. «Lei veniva dalla guerra, e questo incontro mi ha segnato molto», spiega Markus Imhoof.
«Da adulto all'inizio non avevo il coraggio di parlare della storia di Giovanna perché era qualcosa di molto personale, che volevo tenere per me. Poi durante una discussione con la produzione ho iniziato a parlarne e mi sono commosso. Mi hanno persuaso ad aprire il mio cuore su questa storia d’amore infantile e a raccontare il mio segreto, che così è cresciuto».
Giovanna è diventata il filo conduttore del film : «Tu Giovanna sei la ragione per la quale intraprendo questo viaggio, per vedere ciò che non voglio vedere», spiega Markus Imhoof nel film.
La storia di Giovanna fa riflettere, si intreccia e richiama quella di milioni di persone che, come lei, hanno vissuto la guerra sulla loro pelle, o hanno dovuto lasciare il loro Paese: «Anche se l’emigrazione dei tempi di Giovanna appare più accettabile, ora è diverso: i migranti vengono da più lontano», riflette il regista elvetico. La giovane amica italiana ben presto dovette tornare a Milano perché all’epoca in Svizzera solo chi poteva lavorare aveva diritto di asilo. Morì di malattia all'età di 13 anni, poco dopo essere stata forzata a ritornare.
Eldorado prende il via a bordo di una nave della Guardia Costiera italiana, che ospita fino a 1800 persone a bordo e ne ha salvate più di 100.000 nel Mediterraneo nell’ambito dell’operazione “Mare Nostrum”. Su di essa si imbarca lo stesso Markus Imhoof per un mese nel 2014.
Il viaggio dei migranti, che il regista segue, prosegue poi nei campi profughi in Sud Italia, ghetti dove i migranti vengono sfruttati e sono trattati come schiavi. Lavorano nei campi, per esempio a raccogliere i pomodori, e non esistono per lo Stato Italiano. «Ed è assurdo che tutto questo succeda in Europa», commenta Markus Imhoof. Che ci porta infine in Svizzera per mostrare le procedure per la richiesta d’asilo con le autorità elvetiche.
Quindi il film si sviluppa su due piani che si intersecano tra di loro, e alle immagini del passato si alternano quelle di un presente fatto di immigrazione, sfruttamento, e navigazione sulle navi italiane di Mare Nostrum.
“Eldorado” è stato presentato al Film Festival Diritti Umani Lugano, dove Markus Imhoof ha ricevuto il Premio Diritti Umani per l’autore, istituito per ricordare il 70mo anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Il regista elvetico ha ricevuto il premio «per la capacità, durante tutta la sua carriera, di sapersi immergere nelle difficoltà umane con coraggio , con profonda condivisione, invitando lo spettatore a scoprire la realtà più complessa e oscurata della società nei paesi occidentali, passando da documentario a film di finzione, dalla forma espressiva del teatro al cinema, in un percorso artistico coerente». Il documentario svizzero Eldorado è candidato agli Oscar nella categoria dei miglior film in lingua straniera.
Come anticipato, Eldorado non è il primo film di Markus Imhoof sul tema dei migranti. Nel 1981 ne “La barca è piena”, che ha vinto l’Orso d’Argento alla Berlinale, Imhoof racconta l’arrivo in Svizzera di rifugiati ebrei in un momento in cui il Paese ha appena emanato un decreto federale che nega il diritto di asilo politico alle vittime delle persecuzioni razziali, per cui questi ebrei sono mandati via dalla Svizzera. Era il 1942.
Il film, candidato al premio Oscar nel 1982 come miglior film straniero, è una tragicommedia di denuncia nei confronti dell’atteggiamento assunto dal Paese in quegli anni e può essere considerato come monito contro l’attitudine generale di rigetto che contraddistingue molte delle politiche migratorie internazionali. «Anche in questo film ho scelto per il ruolo di Kitty, ragazza rifugiata, un’attrice che assomigliasse a Giovanna».
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