Formazione

I colori della mente Ecco l’arte che cura

Un’insegnante di Brera, un gruppo di quaranta disabili psichici e una direttrice amante della pittura. Cosi un Centro di salute mentale è diventato un atelier artistico...

di Daniela Romanello

Metti un?educatrice diplomata a Brera. Metti un gruppo di ragazzi pluriminorati che proprio non riescono a far nulla, neanche a stare fermi su una sedia. Metti una direttrice amante della pittura. Metti un gruppo di colleghi che ti danno una mano. Il risultato? Un successo di pubblico e di critica, per i mondani. Un percorso terapeutico inaspettato, per gli addetti ai lavori. Tutto questo è successo a Milano dove all?inizio dell?estate la mostra di una selezione dei dipinti della quarantina di ragazzi e adulti del Cse Negri e Pini (un centro di salute mentale del Comune) ha registrato un successo oltre ogni aspettativa. «È stata una iniziativa nata in maniera un po? naïf e, forse proprio per non aver gabbie di percorso precostituite, strada facendo abbiamo scoperto possibilità impreviste», racconta Cristina Mazzini, direttrice del Cse. «Al suo arrivo nel nostro centro, nel 1992, Paola Altieri si è presa in carico i ragazzi più difficili, quelli che, per le loro patologie, molto spesso accompagnate anche da una frenesia di movimento e da incapacità comunicativa, non potevano essere inseriti in nessun gruppo di lavoro. Pensi, che ci sono voluti anni, per alcuni, per accettare di stare seduti accanto all?educatrice. Ma, il risultato è anche molto gradevole». E lei, appassionata di arte, ha iniziato a raccogliere i dipinti e a organizzarli su due canali contemporanei: il percorso terapeutico e il percorso artistico, entrambi con risultati in crescendo. «Ognuno ha un suo stile, una sua personalità che perdura nell?evoluzione artistica e terapeutica. Tanto che questo ci ha aiutato anche a lavorare sulla memoria, sulla capacità di riconoscere il proprio lavoro da parte degli stessi ragazzi». Un traguardo importante, quanto quello dell?educazione della gestualità e quello dell?accettazione di un compito. Quadri a doppia lettura, quindi, dove i critici vedono lo sviluppo artistico e i terapeuti l?aprirsi di una personalità: come la ragazza autistica che dapprima disegna solo cerchi chiusi e che poi, passo dopo passo, prima riesce ad appoggiarli, ad ancorarli a qualcosa e poi, finalmente, ad aprirli. Oppure come chi, affetto da gravi problemi motori, all?inizio riesce a disegnare solo bambini sdraiati e poi, gradualmente, ecco che li raffigura in piedi. Nella mostra milanese sono stati 150 i quadri esposti, ma al Cse ne sono conservati più del doppio, tutti già catalogati e pronti per farsi ammirare in una seconda mostra, ancora più ambiziosa. «Punteremo tutto non sulle difficoltà dei ragazzi, ma sulle loro potenzialità. Come dire, faremo vedere il bicchiere mezzo pieno», annuncia la Mazzini. Noi li aspettiamo.


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